Lo Zen è insegnamento diretto.
Tutte le newsDal punto di vista Zen, lo scopo della vita, e quindi della pratica, è vivere pienamente come essere umano, Vita è pratica, pratica è vita, con il proprio potenziale intrinseco completamente sviluppato. Questo significa diventare un Buddha. Diventare un Buddha significa “risvegliarsi”, realizzare la Grande Mente come si dice nello Zen (si veda il blog: “Quando nello zen parliamo di Mente risvegliata/Illuminata/Natura Originaria di quale mente parliamo?”) con la propria intrinseca potenziale di saggezza e compassione che la pratica buddhista porta liberando la nostra mente dalla schiavitù del dominio di quella parte dell’io che produce sofferenza. Per un praticante Zen l’obiettivo non è la reincarnazione il rinascere in una vita migliore (tutti lo desidereremmo) o in luogo felice come paradisiaco regno “Terra del Buddha” con bramini o altri dei. Possiamo dire, quindi, che Il Buddhismo è un modo molto umanistico per realizzare il nostro pieno potenziale. I metodi e gli insegnamenti Zen puntano alla realizzazione che chi siamo veramente non potrà mai essere coperto dalle nubi delle vessazioni e afflizioni. Il punto è che non dobbiamo perderci nelle nuvole, ma dovremmo invece vedere il quadro generale: il cielo.
Questo è essenzialmente il messaggio di Bodhidharma nello Zen, vivere la nostra vita da realizzati, una Vita Realizzata è l’essenza dello Zen. Per fare questo occorre uscire dalla zona di confort della nostra mente come fece Linji nella storia che seguirà.
Nel Trattato di Bodhidharma[1] ci dice che ci si risveglia all’Essenza per mezzo degli insegnamenti e della pratica, nella chiarezza di cosa intendiamo per insegnamenti e per pratica nel vario panorama del pensiero Zen.
Risvegliarsi all’essenza/natura di Buddha per mezzo degli insegnamenti indica che gli “insegnamenti” del Buddha, e dei Patriarchi nello Zen, sono importanti in questo senso poiché ci indicano la giusta direzione verso l’illuminazione. Negli insegnamenti Zen “Risvegliarsi all’essenza mediante l’insegnamento” è dipendente in primo luogo, dal fatto che si possa veramente integrare o meno l’insegnamento al proprio essere e quindi alla propria vita. In secondo luogo, dobbiamo comunque considerare che gli insegnamenti; sono mezzi provvisori, temporanei, opportuni, che è come vedere la luna seguendo il dito che la indica. Gli insegnamenti stessi, o il dito, non sono la verità ultima sino a quando non li facciamo nostri sino a quando non appartengono al nostro essere. Dobbiamo esercitarci in questi insegnamenti senza rincorrere l’illuminazione. Se dedichiamo sinceramente la nostra vita a essere liberi dai simboli di vessazioni, e allo stesso tempo dedicarci aiutando gli altri, allora sarà possibile per noi vivere da illuminati ogni insegnamento. È importante integrare veramente gli insegnamenti Zen che riceviamo. Tuttavia, questo non è un processo di “sostituzione spirituale”. Generalmente la gente legge molti libri sul Buddhismo o sullo Zen prima di iniziare a praticare in un processo di vera riflessione, la loro visione della vita cambia e viene sostituita dalle loro idee su ciò che hanno letto. Per ad esempio, leggono nei testi buddhisti che tutto è impermanente, e questo è utile perché la prossima volta che si arrabbiano o vengono insultati da qualcuno, possono ricordare a se stessi che tutto è impermanente, e quindi non lasciarsi prendere da vessazioni o prendere così sul serio gli insulti. Quando leggono cause e condizioni, possono iniziare a vedere le cose in modo di termini relazionali; potrebbero vedere che le cose accadono a causa di cose diverse e condizioni, e che si uniscono a quelle stanno vivendo, ma anche che scompaiono perché queste condizioni vengono meno se loro le cambiano.
Tuttavia, senza una pratica genuina, la maggior parte delle persone si affeziona anche all’insegnamento, come se fosse esso stesso la verità ultima, che di fatto lo è ma rimane solo teoria sino a quando non la vivifichiamo. Se gli insegnamenti rimangono solo nella mente teorizzante misuriamo il mondo sulla base di questi e discriminiamo e giudichiamo sulla base di quello che abbiamo imparato. Questo è un problema, poiché l’insegnamento a questo punto per quanto alto sia è diventato un’altra cosa a cui ci attacchiamo.
La chiave è realizzarli/inverarli, significa che ci si rende conto direttamente della realtà senza lasciarsi prendere dalle parole e linguaggio. La pratica non è una questione di sostituzione: prima di praticare si è interessati alle cose materiali, e si collezionano cose materiali; ora ci si interessa al Buddhismo e quindi si lasciano tutte “le scarpe collezionate nell’armadio” e si comincia a “collezionare cose spirituali”, diveniamo collezionisti seriali di insegnamenti di Dharma. Ma la pratica consiste nell’imparare a vivere la propria vita accordo con il Dharma, che funge da principio e guida. Non è pensata per essere usata come misura delle cose.
La mia vita è sempre corollata da ironia e messa in discussione aperta su ogni aspetto della pratica, è il mio modo, e il modo che voglio far passare “insegnare” di “non prendersi mai sul serio” “nulla è costante tutto cambia rapidamente” come dice un sutra. Ma quando vengono alcune persone (anche monaci) a trovarmi o a praticare al monastero Sanboji questa ironia sul Dharma talvolta è mal compresa o mal tollerata, questo mettere il dubbio (grande fede, dubbio e determinazione-maestro Hakuin) ironicamente sulla pratica irrita o è visto indice di poca profondità. Mi spiace per coloro che “forse” sono ancora intrappolati da “lettere e dharma”. Il sesto maestro del lignaggio, Dajian Huineng (Jp. Daikan Eno, 638–713), disse nella Scrittura della Piattaforma: “Se vediamo che gli altri hanno torto, noi stessi siamo in torto”. Quando pratichiamo davvero quando pratichiamo davvero duramente e ci arrabbiamo con gli altri perché non fanno quello che stiamo facendo, noi abbiamo già un costrutto limitato di come dovrebbe essere la pratica dentro dei fissi binari. Bisogna risvegliarsi all’essenza attraverso gli insegnamenti, ma allo stesso tempo rendersi conto che gli insegnamenti sono solo Upaya mezzi opportuni. In pratica, la cosa più essenziale è avere serietà e profondità senso di “Desiderio” di realizzare il Dharma.
L’insegnamento diretto nello Zen
Questo che vi ho raccontato mi fa venire in mente la storia del maestro Chan Linji Yixuan (Jp. Rinzai Gigen, d. 866 d.C.), uno dei più grandi maestri del Chan tradizione cinese, da cui si è evoluto il lignaggio Linji (Jp. Rinzai) del Chan. La sua illuminazione è molto interessante. Aveva praticato molto duramente e studiato tutto, soprattutto il Vinaya, il regolamento monastico. In ogni senso della parola, Linji era il monaco perfetto. Ma sebbene fosse schietto e sincero, non aveva nulla desiderare, era soddisfatto di come stavano andando le cose. Anche mentre soggiornò presso il monastero del maestro Chan Huangbo Xiyun (Jp. Ōbaku Kiun, d. 850 E.V.) per tre anni, non sentì il bisogno di cercare istruzioni da lui
Un giorno, Muzhou Daoming (Jp. Bokushu Domyo, 780–877), capo dei monaci, persona realizzata, chiese a Linji: “Perché non vai a fare una domanda al Maestro Huangbo?”
Linji rispose: “Non ho domande!” Muzhou disse: “Non preoccuparti, inventati solo una domanda. Potresti chiedere Maestro qual è l’essenza del Buddhadharma[2].” Linji esitò. Forse pensava di saperlo già. “Vai a chiederglielo”, insistette il capo monaco. Quindi Linji chiese udienza e andò negli alloggi del Maestro Huangbo e si inchinò, dicendo: “Maestro, ho una domanda.”Huangbo rispose: “Vai avanti!” Linji chiese: “Qual è l’essenza del Buddhadharma?” Wham! Non appena Linji ebbe finito la domanda, Huangbo lo colpì. Linji deve essere rimasto perplesso: “Questo vecchio è pazzo, cosa sta facendo?”. Quando Linji uscì dalla stanza, Muzhou, che lo sapeva da sempre che Linji sarebbe stato colpito, gli chiese cosa fosse successo. Linji, piuttosto sconvolto, rispose: “Mi ha colpito subito dopo aver finito la domanda!” Il capo monaco rispose: “Va bene, torna indietro e chiedilo di nuovo”. Quindi Linji tornò indietro. Chiese: “Maestro, qual è l’essenza…” Wow! Abbattuto…, Linji lasciò la stanza, pensando: “Questo vecchio è proprio pazzo. È questa la vera essenza del Buddhadharma? Se lo è, sono così stupido da non capirlo. Muzhou stava aspettando proprio fuori; chiese: “Allora, cosa è successo?” Linji ha risposto: “Non ho nemmeno finito la mia domanda e mi ha colpito ancora.”
La raccolta dei detti di Linji[3] non dice cosa è successo dopo, ma noi possiamo farlo immaginiamo cosa abbia fatto Muzhou per incoraggiare Linji a tornare indietro il giorno dopo per la terza volta. Ormai Linji era pieno di dubbi. “Perché? Qualcosa non va? Qual è il significato? È la domanda sbagliata o qualcosa che ho detto, qualcosa che ho fatto? Ho studiato e imparato tutti testi buddhisti, il vinaya con i suoi codici e mi comporto sempre di conseguenza. Allora perché lo ha fatto? Cosa ho fatto? Perché mi ha colpito quando gli ho chiesto l’essenza di Buddhadharma?” Tutte queste domande in realtà facevano molto bene a Linji. Huangbo, in collusione con Muzhou, riuscì a suscitare in lui un senso di desiderio, domanda e dubbio. Possiamo vedere ora che la domanda lo stava accompagnando a “Casa!”. Il resoconto nel libro non fornisce dettagli precisi su cosa è successo, ma possiamo essere certi che Linji non è riuscito a dormire la notte prima del suo prossimo incontro con Huangbo. Tutte queste irrisolvibili domande gli giravano in testa: “Qual è l’essenza di Buddhadharma? Perché mi ha picchiato?” Il giorno successivo Linji tornò a trovare il maestro, e prima che Linji aprisse bocca Huangbo lo colpì. Linji era ora in una fossa oscura di grande dubbio, incapace di risolvere l’essenza di Buddhadharma e capire perché Huangbo avesse reagito in quel modo. Gli rimasero le sue domande: “Qual è l’essenza di Buddhadharma? Che cos’è?” L’interrogatorio spinse Linji a voler lasciare il monastero. Ma prima che avesse la possibilità di andarsene, Muzhou gli consigliò di salutare il maestro Huangbo. Muzhou era andato prima dal maestro e gli aveva detto: “Linji tornerà a trovarti oggi. Questa volta se ne va. Vacci piano con lui. È quasi arrivato. Per favore, dategli un espediente insegnamento. In futuro sarà un grande albero che farà ombra a innumerevoli persone.”
Questo cuore di madre del capo monaco Muzhou mi richiama Tenryu e Eryu i nostri insegnanti di Dharma al Tempio il Cerchio con la loro sollecita gentilezza, la loro costante presenza da anni pronti ad aiutare senza mai stancarsi, a sollecitare, a incoraggiare i praticanti con i loro insegnamenti diretti, chiari e spesso soavi, prendersi cura come dei responsabili genitori di tutti i figli del Dharma nel Sangha.
Quando Linji andò da Huangbo il maestro vide qualcosa di prezioso in Linji: la sua serietà, i suoi dubbi e come era scosso dalla questione irrisolvibile. Dalla prospettiva Zen, questo è un buon stato d’animo in cui trovarsi. Il maestro Huangbo disse: “Non c’è bisogno che tu vada altrove. Vai a vedere il mio Fratello del Dharma Gaoan Dayu (Jp. Ko’an Daigu), che vive dall’altra parte della montagna. Ti aiuterà a risolvere questo problema la “Grande Questione”.
Ora immaginate se Huangbo avesse risposto: “Carissimo Linji, vuoi sapere dell’essenza del Buddhadharma? Lascia che ti spieghi esattamente cosa Buddhadharma è: prima devi conoscere le Quattro Nobili Verità e il triplice studio dei precetti, della meditazione, della saggezza e dell’altruismo…”. Se Huangbo avesse fatto questo a Linji, avrebbe stroncato per sempre la ricerca e la sua realizzazione impedendogli di diventare il grande saggio dello zen e…. chissà forse noi non saremmo qui a praticare… Perché Dōgen studiò sotto il maestro Myozen discepolo del maestro Eisai discendenti (lignaggio) di Linji e con Myozen parti per la Cina a cercare il vero Buddhadharma. Il nostro lignaggio di Hara Daiun Sogaku è l’insegnamento della meditazione di Dōgen e lo spirito di pratica e ricerca di Linji.
Linji aveva bisogno di far nascere dentro di sé le domande che promuovono la ricerca, ognuno ha la sua domanda o domande, qualunque profondità abbiano, ma senza domanda non c’è interesse al cambiamento rimaniamo nella nostra illusione talmente illusa che non sappiamo nemmeno di esserlo, illusi.
Huangbo aveva gestito la domanda concettuale di Linji spezzando ogni aspettativa di risposta spiazzando il dubbio di Linji, che si era accumulato attraverso questi incontri, dubbi che si sarebbero rapidamente dissipati. I maestri Chan sono meravigliosi nell’aiutare gli studenti a generare il meglio della questione della vita.
Il punto è che, è estremamente importante avere un vero senso di serietà e meraviglia riguardo alla tua vita chiedendoti sempre “cosa sto facendo” e non “Che risultati sto ottenendo” se il cosa sto facendo è “corretto” i risultati lo saranno. Nel Chan c’è un detto: “Piccolo dubbio, piccola illuminazione; dubbio medio, illuminazione media; grande dubbio, grande illuminazione; senza dubbio, nessuna illuminazione”. Linji non ha aveva inizialmente dubbi, quindi neanche problemi tutto era saldo nella sua testa nessuna apertura, fino al giorno in cui il Maestro Huangbo senza troppo farlo pesare gliene diede uno: “Non preoccuparti, inventati solo una domanda. Potresti chiedere Maestro qual è l’essenza del Buddhadharma”.
Possiamo solo immaginare il suo lungo, viaggio solitario da una sponda all’altra della riva, sulla zattera del dubbio, camminando da solo, costantemente assorbito dal suo dilemma. La sua mente era continuamente concentrata su questi pensieri: “Cos’è il significato del Buddhadharma? Perché Huangbo mi ha colpito? Dov’è la mia colpa?” “ Cosa è il significato della nostra vita, perché mi succede questo, come uscirne …forse ci chiediamo sempre noi. Immaginiamo che tutto questo pensare fosse fisso nella sua mente, perché non appena Linji fu arrivato dal maestro Dayu (su consiglio di Huangbo) questo gli chiese: “Da dove vieni?” Linji rispose: “Io vengo da Huangbo.” Non disse vengo dal monastero tal dei tali o dalla provincia di… ma da Huangbo, la sua mente era collegata in linea costante surriscaldata con quella del suo maestro Huangbo “I Shin den Shin”… “Ah, Huangbo!” disse Dayu “ Che cosa sta facendo questo vecchio in questi giorni?” Linji esclamò: “Gli ho chiesto tre volte quale fosse il significato di Buddhadharma, e mi ha colpito tre volte!”
Riconoscendo l’opportunità, Dayu rise, applaudì e esclamò: “Huangbo, con quel cuore di vecchia nonna, ti ha liberato, ti piace! E ti chiedi dov’è la tua colpa?!” I veri maestri sono bravissimi a creare un problema dove non ce n’è, per portare alla luce l’intrigata illusione della mente, e poi risolvendolo, la loro spada della saggezza di Monju[4] taglia attraverso tutti i nostri attaccamenti. Ma prima, prima che la spada possa tagliare, è necessario generare slancio. Huangbo non aveva solo generato la domanda a Linji quando non ne aveva, ma aveva anche impiantato la grande palla di dubbio dentro di lui. Il dubbio non riguardava l’”essenza del Buddhadharma”, ma sulla capacità di Linji di coglierla.
Dayu in realtà stava dicendo che Huangbo era troppo gentile con Linji; aveva svelato, con il suo colpo o schiaffo, il segreto del Chan proprio davanti al volto di Linji, ma lui non avevo capito. Tuttavia, Linji era straordinario; aveva il potenziale per grandezza ed era maturo nei suoi anni di pratica. Non appena ha sentito la risposta di Dayu, Linji si è sentito pieno illuminazione! Huangbo era stata così gentile, come una vecchia nonna. Aveva dato gli insegnamenti a Linji, proprio come li aveva dati Bodhidharma all’imperatore[5]: “Ho avuto merito?” “Assolutamente no!” “Che diavolo sei tu che stai davanti a me?” “Non lo so!”…. Bodhidharma tagliò fuori ogni concettualizzazione, ogni attaccamento. Cos’è il Buddhadharma? Come se ci fosse una cosa fondamentale “là fuori” chiamata Dharma o l’insegnamento buddhista! Wow! Wow! Il punto non è se ci sia Dharma o no; il punto è generare il grande dubbio della nostra esistenza condizionata , superare l’illusione che non ci fa vedere neanche di quanto siamo illusi e condizionati, di quanto siamo convinti che la nostra vita, con alti e bassi, sofferenze e gioie vada bene inevitabilmente così perdendo la possibilità di essere, di vivere una Vera Vita realizzata e poter aiutare tutti gli esseri, restiamo sotto le nostre piccole coperte di domande alla ricerca di piccole relative risposte, il lavoro, la casa, la famiglia, i piaceri irrinunciabili, l’etica, gli anni passati…. Siamo fortunati quando qualcosa taglia la strada a tutto questo e inizia la domanda: “Cosa ci faccio qui?” non “Cosa succede qui’”.
Linji era così felice che esclamò: “Quindi non c’è molto da fare dopotutto è Huangbo che insegna!” Sentendo questo, Dayu sentì che era successo qualcosa, prese Linji e chiese: “Idiota! Proprio ora mi hai chiesto perché eri lì in colpa, e adesso dici questo? Che diavolo hai capito?! Parla Parla Ora!”
Senza alcuna esitazione, Linji diede a Dayu tre colpi alle costole e rise: “Ah, ah, ah, ah!” Dayu disse: “OK, OK, basta! Non sono il tuo insegnante. Vai a colpire Huangbo!” Dayu era davvero soddisfatto e gioioso. Linji salutò con reverenza Dayu e tornò di corsa al monastero di Huangbo. Non appena il Maestro Huangbo lo vide, si rese conto che il volto e l’intero comportamento di questo monaco erano completamente trasformati. Il Maestro Huangbo disse: “Quest’uomo, va e viene, quando diavolo finirà tutto questo?” Linji disse: “È già finito”. “Dove sei andato?” chiese Huangbo. Dopo che Linji gli ebbe raccontato cosa era successo da Dayu, Huangbo disse, «Quell’uomo parlava troppo. La prossima volta che lo vedrò, gli darò un bel colpo.” “Perché aspettare?” disse Linji, e cominciò a schiaffeggiare Huangbo. Huangbo lo spinse via, dicendo: “Questo piccolo cucciolo sta cercando di tirare i baffi alla tigre!”
Huangbo non ha detto: “Dannato sciocco!” Ha detto “Piccolo cucciolo”. Con questo intendeva: ora siamo della stessa natura, la stessa specie. Tu ed io abbiamo assaporato il Dharma. Un cucciolo è lasciato crescere per diventare una tigre, proprio come un bambino crescerà sicuramente per diventare una tigre umana da adulto sotto i saggi insegnamenti dei genitori…saggi. Huangbo non denigrava Linji ma era felice, come una tigre soddisfatta del suo cucciolo giocoso. Per questa ragione, Huangbo disse al suo assistente: “Prendi questo pazzo alla sala Chan”, il che significa che avrebbero potuto riportare Linji al monastero, e che ora era idoneo a risiedere nella sala Chan. Questo era significativo perché nelle epoche precedenti, i residenti nella sala Chan erano i monaci selezionati. Non tutti avevano il privilegio di praticare nella sala Chan, che in passato era chiamata “La sala dove vengono scelti i Buddha”.
La storia qui si fa lunga…come è lunga la nostra vita di pratica…
Linji andò nella sala dove tutti i monaci stavano meditando. Giaceva steso su una piattaforma di meditazione, si addormentò e cominciò a russare. NO protestò un monaco…
Huangbo, che era pienamente consapevole del grande risveglio di Linji, entrò nella sala e vedendolo russare sulla piattaforma, con accanto il monaco che si era lamentato e che meditava accanto a Linji completamente immobile e in perfetta postura, Huangbo guardò il monaco meditante e poi lo colpì con il bastone, gridando: “Non vedi Linji qui, quanto si sta esercitando? Tu che diavolo stai facendo?”.
Il punto della storia riguarda la pratica. Dobbiamo guardarci dalle nostre idee su come dovrebbe essere la pratica, come le persone che non trovano ironia, leggerezza e gioia nella pratica ma sol dure regole e volti seriosi.
Il problema è che non crediamo nella nostra vera natura. Noi siamo così cablati nel pensare che le nostre opinioni, la nostra conoscenza acquisita e l’esperienza e la nostra autonomia sono le uniche cose che contano. Per questo motivo non siamo liberi. Siamo vincolati dalle nostre opinioni, dalle nostre conoscenze e le nostre esperienze anche su cosa sia la pratica, così come Linji era inizialmente convinto della sua a tal punto da non far nascere nessuna domanda.
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[1] Jeffrey L. Broughton. The Bodhidharma Anthology: The Earliest Records of Zen. Berkeley. University of California Press. 1999.
[2] l’insegnamento predicato dal Buddha Shakyamuni
[3] La raccolta di Lin-Chi. Rinzai Roku
[4] Monju Bosatsu della Saggezza che in una mano tiene la spada e nell’altro le leggi della saggezza.La spada recide simbolicamente gli attaccamenti e le leggi il Dharma è la realizzazione lasciati gli attaccamenti all’io. È la divinità delle sale di meditazione in alcuni templi Zen.
[5] ….Una volta sbarcato a Nanyue, Bodhidharma vagò per la Cina meridionale, e per un certo periodo, si fermò a Luoyang, capitale di quella parte della Cina, dove incontrò l’imperatore Wu, ed ebbe con egli un dialogo famoso, nel quale rispose al monarca che vedere la pratica spirituale come mezzo per ottenere vantaggi morali e materiali è fondamentalmente inutile. https://dharma-academy.it/la-storia-del-bodhidharma/