La storia di Bodhidarma
Tutte le newsdi Jacopo Daie Milani
«Mahakasyapa, successore del Buddha, trasmise la lampada, poi la storia:
contò ventotto patriarchi sotto il cielo dell’India.
Attraverso i mari,la lampada ha raggiunto questa terra;
Bodhidharma ne fu il fondatore.
Sei generazioni gli succedettero e trasmisero la veste.
Ormai, nelle generazioni future,numerosi saranno coloro che vedranno la luce.»
Bodhidharma è il leggendario fondatore dello zen, il vecchio saggio dai denti rotti e dalla pelle scura, che sarebbe venuto dall’India per portare gli insegnamenti della scuola zen in Cina.
Nella cultura popolare cinese e giapponese, Bodhidharma è il modello del vecchio maestro eremita, modello di una pratica di meditazione severa e costante. E’ spesso raffigurato in molte immagini come un vecchio basso e grassottello, con una barba ispida e gli occhi grandi, a ricordare ai praticanti l’attenzione costante necessaria per la pratica zen.
Si narrava che per approfondire ulteriormente il proprio risveglio, una volta arrivato in Cina, abitasse in una grotta, e fosse rimasto seduto in meditazione senza muoversi per nove anni.
Da questo fatto, nacquero due leggende.
Secondo una, Bodhidharma, per non cedere al tepore del sonno durante le lunghe sedute di zazen, si fosse tagliato le palpebre e le avesse gettate al vento. Una volta cadute a terra, queste avrebbero generato la pianta del the, che a tutt’oggi rappresenta l’ingrediente principale della bevanda tanto famosa quanto utile per la pratica intensiva dei monasteri.
Secondo un’altra, una volta, Bodhidharma decise di praticare tanto intensamente e tanto a lungo che gli caddero le gambe. Da questa leggenda, deriva la forma della tipica bambola giapponese Daruma, che ritrae in maniera schematica il vecchio maestro coperto dal proprio manto.
Ma qual’è la storia di questa figura tanto popolare?
Secondo le ricostruzioni tratte dalle cronache della tradizione cinese, come l’Appendice alle Biografie di monaci eminenti o Le Cronache della Trasmissione del Tesoro del Dharma,
Bodhidharma sarebbe stato un monaco proveniente secondo alcuni dall’India, e secondo altri dalla Persia, vissuto intorno al VI secolo dopo Cristo.
Fu discepolo della maestra indiana Prajnatara, riconosciuta come ventisettesimo patriarca dello zen, che gli riconobbe la capacità di trasmettere l’insegnamento e gli diede il compito di trasmetterlo in Oriente.
A differenza delle altre scuole indiane trasmesse in Cina, incentrate sull’insegnamento di complesse teorie filosofiche, Bodhidharma portava una pratica molto semplice, che prevedeva la concentrazione sulla meditazione seduta e l’abbandono di ogni logica e di ogni concetto come risposta alle proprie questioni su sé stessi e sul mondo, fondata sul testo del Lankavatara Sutra.
Una volta sbarcato a Nanyue, Bodhidharma vagò per la Cina meridionale, e per un certo periodo, si fermò a Luoyang, capitale di quella parte della Cina, dove incontrò l’imperatore Wu, ed ebbe con egli un dialogo famoso, nel quale rispose al monarca che vedere la pratica spirituale come mezzo per ottenere vantaggi morali e materiali è fondamentalmente inutile.
Successivamente, si fermò nel famoso tempio di Shaolin, poco lontano della capitale, famoso per essere il luogo dove sono nate le arti marziali cinesi e che tutt’ora viene considerato la patria del Kung Fu. Dopo qualche tempo, costruì un rifugio sul monte Shaoshi, dove si diede ad una pratica solitaria di meditazione seduta, che gli giovarono il nome di Biguan, “l’eremita che fissa il muro”.
L’ esistenza ritirata, la grande severità della sua pratica e la sua figura eccentrica guadagnarono a Bodhidharma pochi discepoli.
La tradizione ne conta quattro: tre uomini e una donna.
Il più famoso di loro era lo studioso Ji, che sarebbe diventato famoso come il secondo patriarca dello Zen, Huiké, in giapponese, Eka.
Ji era un praticante tenace ed erudito. Dopo avere studiato per anni i testi fondamentali di grandi tradizioni filosofiche come il Confucianesimo, il Taoismo e le scuole di Buddhismo indiano che erano presenti in India in quel tempo.
Nonostante i tanti anni di studio, però, egli non era arrivato a realizzare quella maturità spirituale che stava cercando.
Fu quindi attirato dalla sicurezza e dalla tenacia dalla fama del monaco solitario del monte Shaoshi, e lo raggiunse per parlare con lui per scoprire che cosa aveva scoperto.
Bodhidharma, però, non aveva né tempo né voglia di dialogare con uno studioso su ciò che stava facendo in quel momento. Nonostante le pressanti richieste di Ji, quindi, rimase muto, continuando la sua meditazione.
Dopo mesi di attesa nella grotta di Bodhidharma, Ji, in un disperato tentativo di attirare l’attenzione dell’eremita, si tagliò un braccio davanti a lui, muovendolo finalmente a compassione.
Il testo del koan 41 della raccolta Mumonkan racconta ciò che accadde successivamente:
Una volta mozzato il suo braccio, Ji chiese a Bodhidharma:
“La mia mente non è in pace. Ti prego, signore, datele pace!”
Bodhidharma rispose: “Molto bene, mostrami la tua mente e le darò pace!”
Ji ribatté: “Ho cercato la mia mente ma non sono riuscito a trovarla”
Bodhidharma rispose: “Ecco, allora la tua mente è in pace”.
Di fronte alla grande ricerca delle scuole buddhiste del tempo, il cui insegnamento era per lo più dedito all’interpretazione intellettuale di complessi testi filosofici, Bodhidharma contrapponeva l’impegno di una pratica della meditazione costante. Il problema da porsi, secondo lui, non era quello di trovare la risposta ad un enigma esistenziale, quanto di concentrarsi nell’attenzione al momento presente, in maniera tale che sia la consapevolezza stessa che deriva da questa attenzione a portare la mente direttamente al Risveglio.
L’insegnamento di Bodhidharma divenne il centro dell’insegnamento zen che si sarebbe trasmesso in futuro.
Secondo la tradizione, Bodhidharma rimase altri nove anni ad insegnare a Shaolin, e visse testimoniando la propria pratica fino all’età di centocinquant’anni.
Mentre per alcuni morì semplicemente, steso in una capanna nel fiume Lo, per altri invece il vecchio maestro indiano, alla fine della propria vita, si sarebbe nuovamente incamminato per tornare nelle sue terre, consapevole di avere concluso il proprio ruolo nel trasmettere l’insegnamento dello zen.
Secondo un’altra leggenda, un burocrate dell’impero cinese, un certo Song Yun, viaggiò per scoprire dove fosse sepolto il grande maestro zen. Durante il viaggio, gli parve di trovarlo sulla strada in cammino, scalzo da un piede, e credette di avere avuto un’allucinazione.
Una volta che Song Yun arrivò al feretro di Bodhidharma, trovò la tomba vuota.
Dentro non c’era nessun corpo. Solo un sandalo dimenticato lì da qualcuno…