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Mi siederò qui, sotto a questo albero

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Reverendo Carlo Tetsugen Serra

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Anatta ni kyo wa nan desu ka?  Che cos’è anatta oggi? Questo weekend, sabato e domenica, inizia un favoloso corso sul buddhismo, ad orientamento principalmente zen. Anche se il primo seminario sarà centrato sulle basi del buddhismo, che sono le basi dello zen. Anche se poi, naturalmente, come ben sappiamo, nei tempi e nelle culture è modificato dall’aspetto originario indiano ma non dall’aspetto originario degli insegnamenti del Buddha. E questo è quello che capiremo, soprattutto, in questo primo seminario. Come mai lo Zen sembra, forse lo è, così differente da quello che noi occidentali, ma anche orientali, definiamo buddhismo.

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Al punto che alcuni, pochi…ma non hanno conoscenza…che non hanno conoscenza del buddhismo…ma forse hanno conoscenza del buddhismo, ma non hanno conoscenza degli insegnamenti del Buddha..che non sempre collima…buddhismo e insegnamento del Buddha, come ben sappiamo, come il cristianesimo, forse, non collima, o non sempre, con gli insegnamenti di Cristo. Perché il buddhismo è cresciuto, si è sviluppato con tempi e culture differenti. E così anche lo zen. Ma ogni scuola, nel suo cuore, e non solo, si rifà agli insegnamenti del Buddha.

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Quindi, può sembrare un po diverso in alcune cose e in alcuni aspetti dal Buddhismo, in generale, a quello che si conosce comunemente, o da quel poco che le persone conoscono comunemente del buddhismo. Ma, di fatto, anche se si discosta da quello che comunemente si conosce del buddhismo, lo zen si rifà agli insegnamenti di Shakyamuni Buddha e all’interno della sua pratica, all’interno dei suoi insegnamenti, batte il cuore degli insegnamenti del Buddha, del vecchio Shakya. Ogni pratica che noi facciamo nello Zen si rifà a un insegnamento del Buddha.

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La meditazione, poi, si rifà al momento topico della storia del Buddha, sotto l’albero del Ficus religiosa. E persino i koan si rifanno all’insegnamento del Buddha. Certo, il Buddha non usava i koan, usava sicuramente storie, parabole, metafore, che erano un classico dell’India. Però lo zen le ha asciugate, le ha viste con un’ottica, naturalmente, di messaggio, forse più diretto, un po più forte, adattato ai tempi. Adattato ai tempi di allora e, soprattutto, adattato ai tempi di oggi. Quindi praticare lo Zen è praticare gli insegnamenti del Buddha.

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Può darsi che in alcuni casi non sia praticare IL buddhismo, ma, sicuramente, gli insegnamenti del Buddha, sì. Per questo che zazen è un punto centrale dello zen. In alcune scuole buddhiste, la meditazione, che  non si chiama zazen, la meditazione, non è il cuore centrale. In alcune scuole buddhiste il cuore centrale è conoscere come la mente funziona. Noi, umilmente, ci rifacciamo a quelle parole del Buddha, prima di sedersi sotto l’albero di pippala, sotto l’albero della Bodhi, sotto il ficus religiosa, che dicevano: “Mi siederò qui, sotto questo albero, e non mi alzerò fin quando non avrò realizzato l’essenza della natura umana e dell’universo”, quella che poi viene chiamata Illuminazione. Ecco, noi ci rifacciamo a questo momento topico, quindi non studiamo tanto i meccanismi della mente, di come si appanna o di come si disappanna la nostra mente. Questo è utilissimo. Va studiato, approfondito, ma, per noi, la pratica dello zen non riguarda espressamente questo. Questo accade già nella pratica di zazen. Questo accade nelle pratiche dello zen.

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Quindi, per quanto fascinoso sia studiare la mente e il funzionamento della mente, la pratica dello zen cerca di fare addirittura un passo indietro, non perché rifiuti questo ma perché, con questo passo indietro, trova, e cerca di trovare, l’origine della complessità della mente. Per questo lo zazen è uno zazen  che si basa su shikantaza o sulle parabole, sulle storie, sulle metafore,  sulle domande che tutti dovremmo avere dentro. Quelle che si chiamano koan. Il silenzio, con il passo indietro e la rivisitazione della mente. Quando io faccio un passo indietro, vedo la mia mente lì, apparecchiata, con tutti i suoi problemi, i suoi concetti, i suoi preconcetti, le sue arrabbiature, le sue” io non sono così” “Tu mi tratti così” “Il mondo è così” “Io voglio agire così”…tutti i pensieri della mente…naturalmente, sono…natural-mente…sono naturali, questi pensieri, per una mente condizionata. Ma per uno che pratica facendo un passo indietro…vede questi giochi, come si dice nel buddhismo, questa mente mossa dai fili dell’Io, dell’Ego, dei nostri preconcetti, dei nostri concetti che si sono radicati e che agiscono per noi.

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Quindi, facendo un passo indietro e vedendo questo teatro della mente che noi, poi, raffiguriamo nella vita e  diamo realtà…bene, per cambiare questo teatro della mente, nello zazen si usano i koan proprio per, come dire, mettere in scacco tutto questo nostro pensiero, questi nostri condizionamenti, questo teatrino, che poi quasi sempre è un dramma,

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non è un teatrino. Alle volte meno drammatico, alle volte un dramma serio, che ci coinvolge, purtroppo. Questa è la pratica dello zen, e questa è la pratica degli insegnamenti del Buddha. Lo scopriremo, per chi seguirà il corso di buddhismo, come la pratica dello Zen affonda le radici là sotto l’albero della Bodhi.

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Un koan dice: “La mente è il Buddha”.

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Nella stessa raccolta, poche pagine dopo, si legge: “Nessuna mente, nessun Buddha”. Mi viene da pensare un’affermazione che ho letto tempo fa:

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il buddhismo, in fondo, è la conoscenza della mente umana. Questa è un’affermazione detta da un eminente buddhista.

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Se ci fosse stato un maestro zen ad ascoltare questa affermazione, probabilmente avrebbe dato un calcio alla brocca, citando un altro famoso koan. Oppure avrebbe tagliato il dito. O tagliato un gatto in due. O semplicemente arrotolato una tendina di bambù. Il buddhismo, come “-ismo”, può essere la conoscenza della mente. Gli insegnamenti del Buddha sarebbero veramente limitati, e limitanti, se si fermassero alla conoscenza della mente.

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Per quanto esposta, con saggezza, dagli insegnamenti portati a voce dal Buddha dai suoi discepoli, non ci sarebbe bisogno di scomodarsi molto. In occidente, chi ha indagato la mente, ha fatto un grande lavoro. Ne è stata fatta una grande pratica che non è diventata religione, ma è diventata psicologia, è diventata psicanalisi. Gli insegnamenti del Buddha non si limitano alla conoscenza della mente.

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Chi ha deciso di praticare lo zen, piano piano, camminando nella pratica, ha saputo distinguere tra il sacro e il profano, come si diceva una volta, pur non essendoci nulla né di sacro né di profano, nella via dello Zen.

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Sa distinguere tra la conoscenza della mente e la conoscenza dell’essenza dell’essere umano. Come dire che, se una persona non conosce la propria mente, non realizza l’Illuminazione, il satori, il nirvana. E’ per questo che nella storia dello zen, nella simbologia dello zen, nelle metafore dello zen,

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i grandi maestri erano dei pelapatate, dei traghettatori sui fiumi, dei venditori di meloni sotto i ponti, dei pulitori di tombe, o degli eremiti, che compilavano poesie e canzoni nel loro romitaggio. Questo non è un invito all’ignoranza. Assolutamente. E’ un invito a prendere la propria mente con allegria, con pragmaticità, con leggerezza, sapendo che è un grande teatro. Alle volte è un dramma. Alle volte è un melodramma, su cui bisogna intervenire nel copione.

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Ma se sorridiamo, sapendo che è comunque teatro della nostra mente, possiamo intervenire facilmente a cambiarne i tempi e anche gli attori. Controversie, dolori, sofferenze. Sorridiamo davanti a questo teatro creato dall’essere umano e impegniamoci per cambiare il copione. Lasciamo agli psicologi, agli psicoanalisti, ai terapisti lo studio della mente e dei suoi meccanismi. Noi stiamo praticando zen.

UBI
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