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La Motivazione

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Reverendo Carlo Tetsugen Serra

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Oggi praticheremo dell’inutile, noioso zazen. Astenersi chi aspetta soltanto un grande discorso illuminato, anche perché difficilmente uscirebbe dalla mia bocca, ma, comunque, nessun tentativo, questa sera. Soltanto zazen. Non vedete niente muoversi, se vedete l’immagine ferma. Non preoccupatevi: siamo sempre collegati. Sentite la vostra mente ferma tranquilla e immobile. Non preoccupatevi: siete ancora vivi, siete in zazen. Ovunque siate, con il vostro cellulare in mano, seduti davanti a un computer, sulla vostra poltrona relax o sul vostro zafu, zazen non cambia.

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La pratica è sempre quella: respirare profondamente. Due, tre, quattro, cinque volte… al quinto respiro, adagiare il respiro tra le vostre mani. Hokkaijoin, il grande mudra, mahamudra, l’oceano di energia. Depositarlo delicatamente, leggero, naturale. Il buddhismo è ricco. Mille fascinazioni, mille pratiche, soprattutto per noi occidentali, che ci ammaliano, ci rapiscono, e spesso nello zen, anche, ci stordiscono.  Essere ammaliati e affascinati da questo spirito orientale, di origine orientale, è una cosa che sicuramente fa parte, anche del nostro cammino, di tutti noi.

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Tutti siamo stati rapiti, affascinati, ammaliati dal sorriso del Buddha, dalle gesta del Buddha, dagli insegnamenti del Buddha. Quando poi la nostra pratica si fa più intensa, più profonda, la fascinazione, l’esotismo lasciano spazio a tanti perché, a tanti dubbi, a tante incertezze. E camminiamo dentro questi dubbi e queste incertezze, sperando di arrivare in fondo. Di uscire dal tunnel.

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Perché pratichiamo? Qual è la giusta pratica? Qual è la giusta motivazione per la pratica? Per me? Per l’altro? Per la società? Per l’ambiente? Non devo avere motivazioni. Ogni tanto, sentiamo una buona parola o leggiamo un buon sutra, o un buon commento di un maestro e ci sembra di intravedere. la luce alla fine del tunnel. Quando arriviamo a quella luce, ci accorgiamo che inizia un altro tunnel. Un altro buio, altre domande. Siamo alla ricerca di altre sicurezze, di altre possibili soluzioni.

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Questo avviene continuamente nella nostra vita: nove volte giù, dieci volte su. Non per questo decidiamo di smettere di vivere, se non in momenti veramente bui della nostra vita. Abbiamo mai pensato questo. Il giorno dopo riprendiamo il cammino. Il cammino della nostra vita, il cammino della nostra pratica. La risposta a tutte queste domande è semplicemente vivere la nostra vita. Non è l’ abbandonare la ricerca.Non è l’abbandonare il porsi domande.

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Non è l’abbandonare il trovare la via migliore, la vita migliore, il modo per viverla. Non è l’appiattimento, insensato, del “tanto tutto è”. Un bellissimo koan dice che una volta il maestro Joshu, a qualsiasi domanda che gli fosse stata posta, rispondeva soltanto alzando un dito. Questo è uno dei grandi koan. Alzava il dito, e non dava nessuna spiegazione del perché. Questa era sempre la sua risposta. Chi conosce poco la pratica dello zen, il buddhismo,

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pensa che questo dito alzato significhi “unità”. “Tutto è Uno”. Oppure, “tutto è uguale”. Oppure non c’è nessuna risposta. Di fatto, Joshu alzava il dito per rispondere. Alzava il dito per segnare una differenziazione. Se no, non avrebbe alzato il dito. Alzava il dito per affermare la propria esistenza. Lo dobbiamo fare noi ogni giorno,  affermare la nostra esistenza attraverso l’Ottuplice Sentiero: il Retto Pensare, la Retta Parola, la Retta Azione, il Retto muoversi in relazione con gli altri, i mezzi di sussistenza.

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E così, continuamente, affermare la propria vita. La via dello zen non è una via di rinuncia, mon è una via che porta all’appiattimento. Tutti i grandi maestri zen erano delle grandi persone, dei grandi saggi, delle grandi personalità, delle grandi menti, dei grandi cuori, dei grandi esseri. E costantemente lo affermavano, non egoicamente. Lo affermavano come esistenza dell’essere umano. Guai a chi si nasconde dietro lo zazen nascondendosi. Chi ha paura di essere, non è e non cammina nella pratica dello zen.

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Gutei, Joshu, Tenryu. Tutti alzavano questo dito. Altri, suonavano le campane. Altri, cantavano i sutra. Altri camminavano come pellegrini e ricostruivano templi. Tutti i grandi maestri Zen hanno lasciato la traccia della loro affermazione di esseri umani su questo pianeta. Ogni giorno che ci svegliamo dobbiamo affermare il nostro pensiero, le nostre decisioni, il nostro essere nella vita. Non sottrarci, non procrastinare, non demandare agli altri il nostro pensiero, il nostro pensare, il nostro decidere.

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Non farsi appannare la vista. Non lasciare che gli altri decidano per noi. Non abdicare la nostra vita agli altri. Qualunque implicazione ci sia, dobbiamo affermare la nostra vita. Come ha fatto Shakyamuni Buddha, come ha fatto Dogen, come ha fatto ogni maestro che ha passato il proprio sangue, Komyaku, la trasmissione, ai propri discepoli. Il Non.Sé  non è il non-essere. L’illuminazione, il kensho,  il satori, è la completezza dell’essere.

UBI
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