Lo zazen e le sue declinazioni
Il mio account
Lo zazen e le sue declinazioni
Un altro maestro zen, sempre della scuola Soto, che si chiama Tetsugen Doko era un grande sostenitore di quello che noi chiamiamo "zenkyo ichi", cioè l'unione, nello zen, di pratica e di studio.
"Zen" sta per “zazen”, la pratica della meditazione;
"kyo" sta per i sutra, lo studio dei testi;
"ichi" vuol dire "sono la stessa cosa" o " devono essere tenuti insieme".
Il maestro Doko dice:
"Lo zazen è l'acqua e gli insegnamenti sono le onde. Se vi dedicate solo allo zazen e rifiutate gli insegnamenti, è come cercare l'acqua e rigettare le onde. Gli insegnamenti sono il contenitore e lo zazen è l'oro.
Se vi dedicate solo agli insegnamenti e rigettate lo zazen, è come gettar via l'oro e occuparsi solo del contenitore. Zazen e insegnamenti non sono due cose separate”.
Insegnamenti del Rev. Doryu Cappelli
A volte possiamo vedere la ritualità come un orpello, ma per esperienza, praticando la meditazione zen e le forme dello zen, si realizza la profonda unità di questi due aspetti.
Uno degli aspetti più famigerati di tale ritualità è il pasto formale con le Oryoki. Che è un qualcosa di...possiamo dirlo? estremamente complesso ed estremamente impegnativo, che richiede una grande concentrazione.
Molte comunità zen adottano una forma semplificata del pasto con le Oryoki. Altre comunità lo aboliscono del tutto e preferiscono sostituire la cerimonia con un pasto in silenzio e in consapevolezza. Crediamo che questo aspetto dello zen sia di grande importanza, perché racchiude in sé tutti gli aspetti del dell'insegnamento del Buddha.
Insegnamenti del Rev. Shōhaku Okumura
Il concetto di “regole” nella pratica dello zen viene dal termine cinese, traslitterato in giapponese, shingi, che descrive il modo di condurre ogni attività in un monastero zen.
Ci concentreremo su un particolare tipo di shingi, quello a proposito del lavoro collettivo della comunità, chiamato fushin.
La parola shingi si traduce in inglese “regole pure”. Un’altra traduzione è “regole di purezza”.
Il termine giapponese viene dal carattere cinese traslitterato shin, che corrisponde alla parola giapponese sei, e che significa “essere limpido o pure” o “senza difetti”, e dalla parola gi, che significa “norme” o “regolamenti”.
Insomma, ciò che dovremmo seguire quando pratichiamo in una comunità.
Diversi maestri Zen hanno sottolineato la "Pratica dell'illuminazione silenziosa", conosciuta anche come Shikantaza nella tradizione Zen giapponese.
Kinhin è una continuazione di zazen e occorre la stessa consapevolezza di pratica.
I sutra del mattino vengono recitati dopo lo zazen serale nella cerimonia Banka: Cerimonia del raccoglimento della sera, come viatico per la notte.
"Si entra in Zazen e non se ne esce più", dice lo Zen, implicando che quando si medita, lo si fa con le proprie illusioni e per esercitarsi.
Allora la tua illusione di un piccolo sé separato svanisce, e non c'è più nessuno seduto in Zazen, non ci sei più tu. La mente in Samadhi, cioè completamente distaccata dalla realtà, non va confusa con Zazen, che è Shikantaza, "Pratica di illuminazione silenziosa”.
L’invito è impegnarsi a vivere la realtà come si forma in Zazen, piuttosto che semplicemente dal nostro punto di vista dualistico e discriminatorio.
Zazen è una manifestazione di chi siamo veramente, una riscoperta di chi siamo sempre stati. Questo è realizzare.
Il mattino in ogni tempio zen si apre con lo zazen e con gli insegnamenti del Buddha: i Sutra per accompagnarti tutto il giorno. I sutra sono principalmente raccolte basata sugli insegnamenti di Buddha tratti dai suoi sermoni o commenti e interpretazioni fatte nei secoli da parte di maestri buddhisti delle differenti tradizioni. Quelli proposti qui sono due dei principali sutra Mahāyāna che vengono recitati in ogni tempio zen accompagnati da dediche.
Insegnamenti del Rev. Shinnyo Marradi
Il silenzio è parte della forma. È parte fondamentale della nostra pratica.
È in silenzio che noi ci sediamo in zazen.
È in silenzio che noi dovremmo fare il samu.
È il silenzio che dobbiamo rispettare in ogni pausa di un ritiro.
È molto difficile far rispettare questo silenzio nella nostra vita.
Questo silenzio non è un vuoto, ma è un silenzio pieno di significato, un silenzio di connessione.
È un silenzio che parla in quanto ci mette in comunicazione.
Il silenzio ci comunica l'interconnessione con tutti gli esseri.
Questo silenzio è potente, e dobbiamo imparare a rispettarlo. Ecco il senso delle forme dello zen. Parleremo della forma e dei precetti che usciranno normalmente, di pari passo, sottesi ma sempre presenti.
Insegnamenti del Rev. Tetsugen Serra
Come sappiamo, il mondo dello Zen si divide un po' in due parti, o forse in tre: chi usa i koan da tradizione, chi usa i koan come insegnamento, chi dice che sia l’uso dei koan come insegnamento, sia l'uso tradizionale dei koan con il dokusan e il rapporto con il maestro, siano soltanto giochi speculativi. Ogni koan, nello specifico, mette a fuoco qualcosa di particolare della nostra mente, del nostro essere, della dottrina, dell'insegnamento, di ogni cosa.
Non sono un insegnamento dottrinale classico, ma un insegnamento esperienziale.
Qualunque siano le credenze a cui aderiamo, alla fine queste non hanno nessun valore assoluto e fondamentale. Così libera l'uomo da ogni dogma, da ogni assolutismo e da ogni ideologia, per restituirgli ogni responsabilità etica.
Mondō è un incontro, un dialogo aperto e collettivo tra i praticanti di un ritiro o una seduta di zazen
e un insegnante buddhista Zen. La tradizione Zen valorizza l'esperienza diretta e la comunicazione rispetto alle scritture. Mondō funge anche da guida sul metodo di insegnamento. Qui troviamo le molte domande poste dai partecipanti ai maestri zen che hanno tenuto il ritiro a Sanboji.