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Star bene in acque torbide

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Star bene in acque torbide
di Alessandro Ryuji Rea

Ezra Bayda, maestro Zen e autore di numerosi libri, conduce i suoi insegnamenti presso lo Zen Center di San Diego. Il suo libro “Star bene in acque torbide” è un richiamo alla semplicità dell’essere. Come il loto che fiorisce serenamente nelle acque torbide, così noi possiamo trovare pace e accettazione nella complessità della vita. Bayda ci incoraggia ad aprirci a qualsiasi cosa la vita ci presenti, non importa quanto disordinata o complicata possa sembrare. Attraverso questa apertura, possiamo scoprire la saggezza, la compassione e l’autenticità.

Bayda divide il libro in quattro parti: cos’è la pratica, attaccamenti e ideali, le relazioni, gli sforzi.
Fornisce consigli concreti, per estendere la pratica oltre la meditazione seduta, per affrontare le sfide della vita quotidiana e per affinare il processo decisionale. Offre una guida, per confrontarci con le paure e essere presenti nel momento.

Per svegliarci, non serve tentare di cambiare.

Questo insegnamento Zen viene applicato a una serie di questioni quotidiane: relazioni, fiducia, sessualità, denaro, …, dimostrando che tutto ciò di cui abbiamo bisogno per la pratica è qui davanti a noi. La pace e la realizzazione sono accessibili a tutti, in ogni momento, indipendentemente dalle circostanze. Ma rendere reale la pratica è molto più difficile, della sola comprensione intellettuale.
Possiamo smettere di vivere una vita surrogata, solo capendo fino a che punto siamo addormentati. Abbiamo paura che le cose vadano in pezzi, di essere rifiutati, di non inserirci. Cerchiamo di emergere per raggiungere il successo, evitiamo l’ansia di essere privi di valore, ci teniamo occupati con avventure e piaceri per sfuggire la nostalgia e la solitudine. Tutte queste strategie ci rinchiudono in una vita artificiale.

Bayda ricorda la fermezza della sua insegnante Charlotte Joko Beck, ma con alcuni spigoli smussati. È molto chiaro sulle qualità che dobbiamo sviluppare nella meditazione: perseveranza, lasciare che il corpo e la mente si stabilizzino attraverso la quiete, stare semplicemente con il momento, vedere chiaramente e mettere costantemente in discussione i nostri sistemi di credenze.
Ci dice come applicare le qualità necessarie per affrontare qualsiasi cosa si presenti. Come perseverare quando ci si trova in un momento di aridità e demotivazione, o risiedere nell’esperienza fisica del disagio quando si è in difficoltà emotiva. Ci ricorda che la misura della nostra pratica è quanto siamo disposti a praticare sul filo del rasoio. Non serve correggerci, perché non siamo difettosi.
La pratica riguarda lo svegliarci a chi siamo veramente, alla vastità della nostra vera natura che include anche le parti di noi che consideriamo “cattive”.

Insalata di patate

Mi è piaciuto molto questo titolo e questo capitolo: il richiamo al fatto che le cause di ciò che osserviamo e sperimentiamo, sono così complesse e interrelate, che non vediamo le cose come sono. Ma come siamo. Che non dovremmo inseguire i perché e i percome delle esperienze, ma solo essere consapevoli del “Che cos’è questo momento?”. Quando la vita non va come vogliamo, la pratica non è cercare i colpevoli o le motivazioni, ci dice Bayda. La risposta alla domanda è l’esperienza della complessità della percezione del momento presente. Le parole non catturano la qualità. Ma quando siamo la nostra esperienza, proviamo un senso di libertà. Nel fare esperienza non cerchiamo qualcosa di speciale, ma impariamo che siamo abituati a trattare il mondo come una descrizione. Solo una delle molte possibili. Nonostante questo, continuiamo a credere ai nostri pensieri.

“Viviamo nel mondo della mente, dove possiamo cercare di rendere la vita ordinata, stabile e prevedibile.”

In questi momenti possiamo metterci scomodi e rimanere con il “Cos’è?” dell’esperienza. Possiamo evitare di scivolare nel pensiero, nell’analisi, nel giudizio, nel credere.
Stare nel “Cos’è?” implica non sapere cosa accadrà e non è un posto che frequentiamo volentieri.

Vogliamo essere attaccati o vogliamo essere felici?

Nel capitolo “L’attaccamento”, Bayda afferma:

“La risposta è molto chiara: vogliamo essere attaccati! Per esempio, anche se vediamo che i nostri desideri ci danno al massimo un piacere effimero, continuiamo ad aggrapparci ad essi.”

Per fuggire la paura del caos, dell’incertezza, del dolore, ci chiudiamo in un bozzolo di convinzioni, fantasie e identità. Sono questi gli attaccamenti. Nella nostra mente diventano “verità” che partecipano dell’energia del desiderio, fondato sull’idea che senza una certa persona o una certa cosa non saremo mai felici. E possono anche prendere la forma opposta dell’avversione: non potremo essere felici, finché una certa cosa o una certa persona saranno nella nostra vita. Spesso siamo più attaccati alla nostra idea, che alla persona o alla cosa reali. Ezra Bayda ci invita a praticare con gli attaccamenti: prima vediamo con onestà, chiarezza e precisione la nostra convinzione, poi dobbiamo capire che è falsa e, soprattutto, che aggrapparci ad essa è la fonte della nostra infelicità. Il problema è che non vogliamo abbandonare la convinzione, che alla fine ci renderanno felici. Le convinzioni di essere privi di valore, sgradevoli, inadeguati, ci rendono felici? No, eppure rimangono tra gli attaccamenti più diffusi e più forti.

Noi che desideriamo senza fine

Sembra che ci piaccia sguazzare in acque torbide. Ma più siamo attaccati al soddisfacimento dei nostri bisogni, meno possiamo vivere veramente. Anche per questo, è importante capire il legame tra attaccamenti e convinzioni. Prendiamo ad esempio il dolore fisico e il benessere. Siamo convinti che nella vita non dovrebbe esserci il dolore. Pensiamo di non poter essere felici, mentre siamo a disagio. In realtà, l’attaccamento alla convinzione genera più sofferenza del disagio fisico stesso. Possiamo praticare vedendo con quanta forza ci aggrappiamo a queste convinzioni. Ma a volte, siamo così aggrappati che è molto difficile vederle. Bayda ci dice che l’attaccamento è una barriera contro la vita, perché è fondato sull’illusione che qualcosa là fuori possa cancellare il nostro dolore.

Ma quando siamo disposti ad affrontarlo, a entrare nell’abisso, possiamo liberarci dal suo potere. Possiamo apprezzare la vita, anche se non è come ce l’aspettavamo. Così una vita autentica diventa più accessibile. Possiamo passare da un tirannico “voglio”, a una preferenza meno emotiva.
Solo smascherando i nostri nascondigli e lavorando con l’attaccamento, possiamo vedere le pretese che avanziamo nei confronti della vita. Ma talvolta siamo così schiavi degli attaccamenti, che sono loro a controllarci. Per praticare con l’attaccamento, dobbiamo riconoscere la prigione in cui ci chiude. Dobbiamo capire che preferiamo credere alle nostre idee, piuttosto che essere liberi.
Dobbiamo essere chiari onesti e precisi quando ci osserviamo, per conoscere tutte le convinzioni che alimentano il nostro attaccamento.
Dobbiamo renderci conto che le nostre convinzioni non sono la verità.
Così potremmo accorgerci che usiamo le convinzioni come anestetico, per non sentire le paure.
L’invito di Bayda è di lasciar sorgere la paura di perdere la nostra identità, fondata su convinzioni.
In qualunque momento, potete chiedervi: “di chi o di cosa credo di non poter fare a meno per essere contento?”.

Star bene in acque torbide

La nostra vita sia come quella del loto,
A proprio agio in acque torbide.
Ci inchiniamo alla vita così com’è.

Com’è la vita del loto? Cosa vuol dire star bene in acque torbide? Quando ci incliniamo alla vita così com’è? Bayda ci offre delle risposte e ci invita a praticarle: come chiarire la confusione di tutti i giorni, coltivare l’equanimità nel caos e trasformare la sofferenza quotidiana in vita autentica.
Non si sottrae a nulla: denaro, relazioni, tradimento, perdono, perdita, sesso. Tutto ciò è un’opportunità per scavare più a fondo e mettere in discussione ciò che si crede.

Per essere semplicemente, dobbiamo vedere i modi infiniti in cui ci blocchiamo nel fango della mente vorticosa: gli schemi ripetitivi, quelli protettivi e le nostre paure.

“Se rinunciamo a questa opportunità e continuiamo a tirarci indietro spaventati e in cerca di protezione, non ce ne pentiremo per sempre?”

Ezra Bayda ci invita a prendere a cuore queste parole, per risvegliarci alla gentilezza e alla connessione del nostro Essere. Per espandere i propri confini e sentirsi più pienamente presenti.
Ci offre una guida, per trovare la pace nel caos quotidiano.

UBI
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