PER LO ZEN: VECCHIAIA O VECCHIEZZA
Tutte le newsLa grande avventura: del tempo che passa: ma passa?
Queste riflessioni sono dedicate a chi inizia ad avere una certa età… ma penso possano essere di utilità anche in altri momenti di vita. Vecchiaia la considero una condizione anagrafica Vecchiezza della mente. Offro qui una prospettiva, una prospettiva buddhista zen “forse” un po’ diversa da alcune visioni buddhiste che vedono l’impermanenza del corpo e della vita che porta alla vecchiaia solo come riflessioni negative di queste.
L’invecchiamento è l’ultima e la più difficile delle discriminazioni nella nostra mente da sradicare sia fisico che mentale. I disagi fisici e sociali accompagnati alla vecchiaia si combinano per minacciare e minare la nostra immagine di sé e il modo in cui valutiamo noi stessi. Comunemente la vecchiaia è vista come un momento in cui il meglio della vita è alle nostre spalle. Resta da godere delle “compensazioni” della vecchiaia, e anche queste sono abitualmente presentate in una luce sentimentale e condiscendente. E se fosse la condizione favorevole (certamente non l’unica) per la rinascita del Vero io, la fase migliore per la riscoperta della nostra Natura Originaria? Se abbandonassimo l’idea di Vecchiezza e vivessimo la nascita della Vecchiaia?
L’avventura dell’invecchiamento non è altro che l’opportunità di trascendere l’io che ha vissuto la sua vita fino ad ora dentro una torre di autoriferimento egoico, e quindi di trascendere la decrepitezza e la morte di quell’io. Nella sua forma più semplice, quella grande parola “Trascendenza” riguarda l’essere totalmente a proprio agio con noi stessi, e quindi a proprio agio con gli altri. Liberi dalle preoccupazioni e dalle ansietà personali, possiamo servire gli altri con tutto il cuore.
L’essenza di un’avventura, tuttavia, è che è imprevedibile, un’avventura nell’ignoto, è “Libertà dal conosciuto” come scriveva Jiddu Krishnamurti, che richiede coraggio e rischiare il nostro “vecchio” io. Più ricorriamo a reti di sicurezza, deviazioni ed evasioni, meno diventa una importante avventura, un capitolo saliente della nostra vita. Inoltre, un’avventura richiede addestramento, abilità e pratica. Quindi, se vogliamo fare dell’invecchiare e del morire un’arte, abbiamo bisogno di una pratica, di un modo di coltivare, non come un hobby part-time del tempo libero, ma con tutto il nostro cuore per tutto il nostro tempo come da giovani ci impegnavamo total-mente negli studi, nel lavoro o nell’innamoramento e la pratica zen può essere questo.
Nell’antica India Vedica la vita era suddivisa in Āśrama un sistema di fasi della vita. Nella prima fase della vita sino ai 25/30 anni ci si dedicava alla formazione, successivamente i più si sposavano confluendo nel griastha asrama, sino all’età di circa 50/60 anni. I diminuiti obblighi familiari (figli grandi e in età di matrimonio) e una maggiore maturità consentivano a quel punto ai coniugi di entrare nel vanaprasta asrama, nel quale la ricerca spirituale riprendeva una posizione prioritaria. Nell’ultimo quarto di vita era consigliato di abbandonare definitivamente ogni coinvolgimento con la società e di dedicarsi totalmente alla realizzazione spirituale e all’insegnamento. Senza voler certamente riprodurre questa antica suddivisione terrei però conto dell’ultimo quarto di vita che suggeriva di dedicarsi finalmente alla vita spirituale.
Filosoficamente parlando, ad una certa età… sottovalutiamo sempre il nostro potenziale, la nostra creatività e la nostra originalità. Solo poche persone fanno o agiscono quando la giovinezza è superata; il resto di noi passa la vita a giudicare, criticare o commentare ciò che hanno fatto coloro che hanno fatto; in particolare, ci concentriamo su ciò che abbiamo fallito piuttosto che su ciò che abbiamo realizzato, o possiamo ancora fare. Conosciamo a malapena altre persone; Ci inventiamo o assumiamo immagini di loro e, il più delle volte, crediamo in quelle immagini più che nella persona reale. Qualunque cosa accada nella nostra vita o nella vita di qualcun altro, comprendiamo gli eventi associandoli alle esperienze che abbiamo avuto in passato, ma difficilmente a ciò che è accaduto nel reale. Ad una certa età… ci comportiamo come fossimo già morti, fuori dei giochi della vita. Molte persone non si rendono conto di come anche ad una certa età la loro vita sia ancora influenzata dalle regole, dalle leggi, dalle politiche, dai sistemi, ecc.. Invece di “finalmente” liberarsene, si rassegnano alla vita passata, invece di lasciare tutto e dedicarsi alla saggezza interiore si tengono stretti al confort del loro io come fosse l’ultimo baluardo prima della morte. Ad una certa età la vita non è altro che routine modellate dai nostri ricordi; Quindi, l’unico modo per trasformare una vita è trasformare le nostre routine, uscire dal nostro io e (per noi) iniziare la Via del Buddha senza ma e senza sè.
Nella pratica è la nostra identità personale che viene sfidata. Questo senso vulnerabile e transitorio di sé ha bisogno di affermarsi, di sentirsi sicuro, aggrappandosi a tutto ciò che può, ottenendo abbastanza di ciò che vuole ed evitando abbastanza di ciò che non vuole. Per una serie di ragioni questo tende a diventare più difficile soprattutto con il passare degli anni, e c’è comunemente un crescente senso di impotenza e perdita di controllo sulle nostre vite. Questo espone la paura alla radice, il senso di mancanza, che si trova al centro della condizione umana, ma che negli anni precedenti eravamo in una posizione migliore per tenere nascosto.
Ci sono due strategie intrecciate con cui lottiamo per sostenere il nostro senso di sé nel corso della nostra vita. Sono appartenenza-identità (di genere oggi sempre più fluida, nazionalità e così via) e ci distinguono fortemente come un individuo unico che lascia il segno nella vita. Entrambe queste strategie di creazione di identità sono minacciate dal passar del tempo nella nostra vita. rischiano di diventare invisibili e dietro l’invisibilità sociale della vecchiaia c’è molta alienazione e solitudine. Ciò include l’alienazione dalla nostra cultura giovanile contemporanea veloce e intelligente, che può diventare sempre più strana ogni decennio che passa. Gli anziani tendono a diventare stranieri nella loro stessa terra di vita se non aprono la Porta senza Porta della Via: Il Buddha il Dharma e un meraviglioso Sangha.
Certamente ad una certa età viene anche il pensiero che la vita finisce e questo potrebbe assorbire tutte le nostre energie con la paura della morte bloccando ogni pensiero e agire. Lo scrittore buddhista Larry Rosenberg insegnante di meditazione e fondatore del Cambridge Insight Meditation Center a Cambridge, Massachusetts, sostiene che “non abbiamo davvero paura di morire – abbiamo paura dell’idea di morire”. La discussione sulle idee sulla morte è per molte scuole buddhiste il centro della loro pratica assieme alla reincarnazione, cosa che affascina chi sta invecchiando perché la vede egoisticamente come una seconda opportunità di vita…., anche se di solito le idee sulla reincarnazione o rinascita non sono riconosciute come nient’altro che idee strutturate, elaborate e dottrinalmente inserite dai buddhisti che le sostengono, non dobbiamo assolutamente dimenticarci che videro come risposta metafisica del Buddha il Nobile Silenzio. Detto questo il Libro tibetano dei morti e la sua famosa variante, il Libro tibetano di vita e morte di Sogyal Rinpoche Lama tibetano insegnante e scrittore, sono diventati bestseller. In ogni incontro pubblico sul Buddhismo si può essere sicuri di almeno una domanda sulla rinascita.
Nella pratica meditativa e nello studio del buddhismo è importante distinguere tra Idee ed Esperienza personale. Le idee buddhiste sulla morte sono un’espressione dell’esperienza di yogi altamente evoluti, cresciuti o che vivono in culture tradizionali spiritualmente sature. Tali idee possono sostenere la loro fede. Tuttavia, è fin troppo facile dimenticare che queste sono semplici idee, che potremmo aver trasformato in immagini mentali affascinanti e consolanti. Diventano quindi, in effetti, evasioni, in quanto rendono più difficile sostenere una mente non conosciuta, vuota e aperta a ricevere qualsiasi dono di intuizione possa essere offerto. L’antica scrittura Ch’an Xinxin Ming/Shinjinmei La fiducia nel cuore/mente attribuita al Terzo Patriarca Jianzhi Sengcan/ Kanchi Sōsan ci avverte che, della morte e di tutte le gravi e costanti preoccupazioni della vita, “…Più ci pensi, più ne parli, più ti allontani mettete fine alla prolissità e all’intelletto e non c’è nulla che non capirete. Perché che cosa possono dire le parole di ciò che non ha ieri, domani o oggi?” Allo stesso modo, molti secoli dopo, il grande maestro Zen Dōgen, che enfatizzava la morte come preoccupazione e pratica centrale, ci esortava a non analizzarla o a non parlarne. Nel suo capitolo dello Shōbōgenzō (Pratica e illuminazione di A. Tollini ed. Ubaldini) ci dice: “Mettete da parte il vostro corpo e la vostra mente, dimenticateli e gettateli nella casa del Buddha; allora tutto è fatto dal Buddha.” Se ci poniamo domande come “Qual è la mia morte?” e “Dove vado dopo la morte?” potremmo essere in grado di trovare alcune idee interessanti. Ma all’ombra della morte avremo bisogno di qualcosa di più di spiegazioni affascinanti per sostenerci. La nostra salvezza sta nel sostenere la santa ignoranza, la mente aperta e ricettiva della nuda Consapevolezza. Ciò richiede fede, coraggio e determinazione, di fronte al pensiero della morte e di cosa venga dopo o dell’esistenza di un Dio.
Shusaku Endo scrittore giapponese convertito al cattolicesimo, scrive nel suo libro, “I 99 dubbi della mia Fede (ed. Luni)”: “Prima di investigare se Dio esista o no, porgiamo ascolto a quel qualcosa che vibra dentro il nostro cuore. Prescindendo se sia Buddha o Cristo, di certo nel cuore, silenziosamente, qualcosa è all’opera. Il fondo del cuore non è un luogo neutro, né afono, ma è la sede di una silenziosa laboriosità. Le religioni gli danno un nome, ma quel qualcosa che opera è prima di ogni religione, ne è il grembo che le germoglia”.
Liberati dalla preoccupazione di noi stessi siamo completamente liberi di rispondere ai bisogni degli altri. La saggezza della nuda consapevolezza si manifesta così come compassione nel mondo. Risate e lacrime si mescolano quando diventiamo consapevoli della tragicommedia della nostra lotta inutile per essere liberi da questo o quello senza essere in grado di vedere quella lotta come il più grande dei nostri problemi.
Questo, quindi, è il modo in cui possiamo trascendere l’invecchiamento come viene convenzionalmente vissuto. Ed è anche con l’invecchiamento che questa pratica zen può raggiunge il suo massimo potenziale, quando tutte le evasioni abituali a cui possiamo essere abituati negli anni precedenti cominciano a logorarsi e siamo obbligati a confrontarci veramente con la nostra condizione umana. Man mano che invecchiamo, i tentativi di aggrapparci al nostro modo di vivere possono essere in contrasto anche con i “suggerimenti” di una Via spirituale ma non ci manca certo la forza per affrontarli se l’intenzione è la propria realizzazione ma soprattutto la Via del Bodhisattva: lasciare alle generazioni future un insegnamento e i mezzi opportuni (Upāya) su come realizzare al meglio la vita.
Una sola luna
Luminosa e chiara
In un cielo senza nuvole.
Eppure inciampiamo ancora
Nell’oscurità del mondo
(Maestro Zen Ikkyu)