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LA MEDITAZIONE KOAN - TRE FASI

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LA MEDITAZIONE KOAN - TRE FASI

Gli esseri sono innumerevoli, voto di salvarli tutti
Le brame sono inesauribili, voto di estirparle tutte
Le vie del Darma sono infinite voto di viverle
La via del Budda è suprema, voto di realizzarla.
(Voti del Bodhisattva nello Zen)

Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e… cerca di amare le domande, che sono simili a stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera incomprensibile. Non cercare ora le risposte che possono esserti date poiché non saresti capace di convivere con esse. E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora. Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga, di vivere fino al lontano giorno in cui avrai la risposta.

Rainer Maria

Rilke (da Lettera ad un giovane poeta)
Cosa ci sta dicendo il poeta Rilke, che se mai vi fosse un processo, e per noi Buddhisti c’è…per uscire dall’irrequietezza della nostra esistenza è un percorso silenzioso della mente, quella abitudinaria. Ordinaria o relativa come diremmo nello zen, non il vuoto, ma un silenzio dall’abitudini mentali è quello che lascia il posto alla scoperta di nuove risposte, e come tutti i processi creativi pur attingendo alle nostre esperienze passate hanno bisogno di essere silenziate per poter essere rilette…. accedere ad una nuova lettura, e non possiamo nascondere che il silenzio meditativo…può essere utile a questa creatività di una nuova vita libera.

  • La meditazione Koan
  • TRE FASI,
  • Cosa é la meditazione Koan,
  • il perché e come lavora nella nostra mente,
  • l’analisi di un Koan come esempio

Cosa è un Koan

Si tratta di una pratica di meditazione fondamentale nell’addestramento di un monaco zen, in quanto porta l’allievo a riflettere superando le sue abituali modalità di pensiero e ragionamento che gli impediscono di superare la visione egoica e quindi individualistica, per modificare la sua mente ordinaria in favore degli insegnamenti del Buddha. Per mettere in pratica gli insegnamenti del Buddha occorre una trasformazione della mente che porta ad una vivificazione, un inveramento di tali insegnamenti con una trasformazione coscienziale e quindi anche di una differente visione della vita.
Per lo zen senza questo lavoro profondo sul nostro se ordinario e condizionato che può avvenire con la meditazione Shikantaza e con i Koan gli insegnamenti rimangono ad un livello etico e morale, assolutamente apprezzabile, ma non del tutto trasformativo per realizzare lo stato di coscienza assoluto, il Risveglio o Illuminazione alla nostra Vera Natura di esseri.
Tradizionalmente il maestro zen affida il koan all’allievo, che deve riflettere o rispondere all’affermazione o domanda. La risposta al koan costituisce l’oggetto di meditazione dell’allievo, che lo impegnerà nella sua pratica quotidiana. Un koan non può essere compreso o ribattuto in termini convenzionali: richiede che un praticante abbandoni la dipendenza dalle sue modalità ordinarie di logica comprensiva per accedere al cammino verso l’illuminazione.

Il perché e come lavora nella nostra mente

Tre sono le fasi esperienziali nella meditazione di un Koan:
Il punto centrale nel Buddhismo consiste nel lavorare per superare i prodotti del nostro ego e realizzare i nostri potenziali positivi quando non ci identifichiamo più con un io fisso da difendere.
I prodotti del nostro ego includono la mancanza di lucidità e uno squilibrio emotivo, che generano confusione in noi e nella vita. Di conseguenza, agiamo in modo compulsivo, spinti da emozioni disturbanti come rabbia, avidità, inconsapevolezza un continuo agire con una visione preservante dell’ego. I nostri potenziali positivi invece includono la nostra abilità di percepire in modo chiaro la nostra universalità di esseri che ci porta a comprendere la realtà nella sua totalità, di immedesimarci con gli altri, e di migliorare noi stessi.
Quindi il punto di partenza della pratica buddhista consiste nel calmare le nostre menti dall’ego ed essere consci, il che significa ricordarsi e confrontarci costantemente con il nostro io egoico ovvero di come agisce la nostra mente ordinaria/condizionata dall’ego e di come invece potrebbe diversamente essere.
1° il meditante prende coscienza della sua mente condizionata, di come ogni suo pensiero sia ego-centrico e antropocentrico.
In effetti, la vera esperienza meditativa è piuttosto sovversiva. È sovversiva al centro delle nostre convinzioni su noi stessi, le nostre relazioni con gli altri e la natura stessa della realtà e dell’esistenza umana. Sfida le nostre ipotesi più profonde e inconsce su “il modo in cui è” e “il modo in cui dovrebbe essere” – i concetti organizzativi più cari che danno forma a chi ci consideriamo di essere. Tra queste ci sono le nostre nozioni sulla natura della mente, del significato, dell’identità e del sé. In tal modo, l’esperienza meditativa può facilitare un tipo qualitativamente diverso di esplorazione e approfondire queste dimensioni della nostra vita.
Solo con questa presa di consapevolezza la mente può aprirsi alla 2° fase ricettiva.
2° Il prendere conoscenza far posto ad un nuovo pensare e pensarsi, una visione differente e nuova del rapporto con la mente che prende il posto della vecchia mente ordinaria.
Le parole del Buddha non sono forse:….. Non credere a nulla, semplicemente per sentito dire, non importa dove l’hai letta o chi l’ha detto, neppure se l’ho detto io, a meno che non sia affine alla tua ragione e al tuo buon senso.Non credere nelle tradizioni, perché sono state tramandate per molte generazioni.Non credere in niente, solo perché se ne parla tanto, o è sostenuto dalla grande maggioranza degli uomini.Non credere semplicemente perché è scritto nei tuoi libri religiosi.Ma se dopo l’osservazione e l’analisi personale, scopri che è d’accordo con la ragione, ed è favorevole al bene e beneficio di tutti, allora accettala e vivi per essa.
Queste sono le parole che fanno del buddhismo una pratica di sperimentazione, esperienziale e non di fede intesa nel senso comune. l’importanza dell’esperienza diretta a fianco dello studio rispetto ai concetti ed alle credenze.
Quando il rapporto con la nostra vecchia mente è Inverato in una nuova mente possiamo passare alla 3° fase quella di risveglio.
3° la mente ha fatto esperienza di una nuova visone non egoica, ma non come comprensione intellettuale ma come vero e proprio cambiamento esperienziale, potremmo dire come percorso religioso. solo così può sperimentare il cambiamento di coscienza che lo porta all’Illuminazione al Risveglio e a viverlo nella sua vita ordinaria, capace di responsabilità, intenzione e scelta non egoica la Via del Bodhisattva si dice nello zen.
Questa è realizzazione è l’unità tra Illuminazione e vita ordinaria nel buddhismo si dice Samsara e Nirvana sono Uno.
Come definisce lo zen il Risveglio?
Il termine illuminazione evoca l’idea di qualche impresa sovrumana, la mente per alcuni buddhisti pensa che occorrano centinaia di vite per realizzarla, ma per lo zen è l’ego che vuole che resti così imprendibile l’illuminazione, perché così la considera impresa impossibile o difficile e ci mettiamo il cuore in pace e non dobbiamo sconvolgere troppo la nostra vita… uscire dal confort dell’ego.
Ma illuminazione è lo stato originario di ogni Essere, non si dice che tutti siamo già dei Buddha….occorre solo risvegliarci…E’ semplicemente lo stato naturale di unione con l’Essere che sentite di essere. È uno stato di sintonia con qualcosa di incommensurabile e di indistruttibile, qualcosa che in modo quasi paradossale è essenzialmente voi e contemporaneamente l’Universo, il creato e non.
Per il Buddhismo zen Risveglio significa trovare la Nostra Vera Natura al di là del nome e della forme.
Per arrivare a questo lo zen non trascura gli insegnamenti dottrinali e canonici del Buddha, ma li trasforma in meditazione silenziosa come Shikantaza che significa seduti semplicemente, attenzione non semplicemente seduti lo spostamento dell’avverbio “semplicemente” cambia tutto. Una cosa è essere solo seduti e un’altra è essere seduti con la mente semplice cioè libera da ogni cosa. Oltre a questa meditazione o non- meditazione visto che non c’è soggetto su cui meditare, abbiamo la meditazione Koan .
In altri ambiti buddhisti sarebbe un po’ come le meditazioni Samatha e Vipassana una la semplicità dell’essere, l’altra la fase indagatoria rispetto tutte le esperienze che stiamo vivendo nel qui e ora che il koan ci propone come specchio.
lo Zen più che la spiegazione di come la mente arrivi ad essere egoica e il condizionamento che ne deriva si occupa, attraverso la pratica dei koan a portarti ad un impasse dove non potendo più usare la mente logica egoica convenzionale puoi solo rispondere con una nuova visione inclusiva e assoluta, sul terreno della trasformazione o del risveglio..

Vediamo come lavora un koan nella nostra mente, tenendo presente che ogni koan usa strade differenti per arrivare allo stesso punto: il Risveglio.

LA VISIONE OCCIDENTALE
La domanda richiede risposta, che va cercata nel divenire futuro.

LA VISIONE ZEN
La domanda racchiude la risposta, perché la risposta è la domanda.

Il Maestro Kyogen disse:
“E’ come un uomo su un albero
appeso a un ramo con la sola bocca,
le sue mani non arrivano al tronco
e con le mani non riesce ad
afferrare
nessun ramo. Neppure con i
piedi riesce ad appoggiarsi ai
rami. Sotto l’albero arriva
un altro uomo e gli chiede:
“Quale è il significato della vita?”.

Koan – Il Maestro Kyogen

l maestro zen è appeso per la bocca ad un ramo e si presenta una situazione dove gli viene chiesto di rispondere alla domanda sul significato della vita. Se il maestro apre bocca per rispondere alla domanda, cade dall’albero e perde la vita, se non risponde non assolve al suo compito di aiutare tutti gli esseri. Cosa fare? Voi cosa fareste? Analizziamo il Koan. Come abbiamo già detto nello zen si va a cogliere l’essenza del koan, il suo contenuto profondo, ma qui, visto che non siamo in meditazione ma ne stiamo parlando, possiamo allargare la visione guardandone anche il suo significato simbolico per aiutarci a meglio utilizzare questi Koan.

Cosa significa “Un uomo su un albero appeso a un ramo con la sola bocca?”
Perché “…appeso con la bocca” e prima ancora perché un Albero e appeso ad un ramo?

L’albero rappresenta la vita, in tutte le culture l’albero ha questa simbologia.
L’uomo sull’albero è un maestro zen e la sua pratica, potremmo dire il suo lavoro, è occuparsi del significato della vita, penetrarlo realizzarlo e trasmetterlo, comunicarlo con tutti i mezzi opportuni alle persone interessate, come fece il Buddha nella via del Bodhisattva.
Nell’antica Cina si parla di due alberi mitici e sacri il gelso (fu-sang) il cui termine si riferisce ad un mitologico albero della vita, e la paulonia (kong-tong). Ciascuno di essi era anche una montagna e servivano come somma dimora per i sovrani. Quindi qui vediamo il maestro in cima ad un albero cioè colui che ha raggiunto la cima della montagna ed è sovrano della vita.

“….appeso ad un ramo..” Benché il Maestro sia sovrano della vita, la vita come l’albero prende forma in differenti aspetti, .
Il seme mette molte radici, un albero ha infinite radici, ma che convergono tutte facendo crescere un unico tronco ma differenti rami, la nostra vita .
Le differenti radici sono la formazione genitoriale, culturale, sociale, che danno vita al nostro essere il tronco, ma che a sua volta si esprime in cento rami diversi, l’espressione del nostro io, un filo conduttore che rimane quasi sempre quello negli anni, ma il suo corso si manifesta in differenti modi e circostanze, che però appartengono sempre allo stesso albero, alla stessa radice della nostra vita.
Possiamo essere appesi ad una circostanza particolare della vita, o essere immersi in un periodo particolare, ma questa particolarità è sempre collegata alla radice della nostra vita, come il ramo fa sempre parte dell’albero e questo ha un’unica radice; teniamo sempre ben presente tutto questo, che nello zen si chiama legge dell’interdipendenza. Spesso siamo abituati a vederla in rapporto con gli altri, con l’estero ma prima di tutto è con noi, nello zen non si usa molto la parola Karma ma è l’interdipendenza con noi stessi, e spesso è la Dipendenza da noi stessi, sempre appollaiati sullo stesso ramo.

Quindi, il maestro è in cima alla montagna nella pienezza della realizzazione della vita, cioè sull’albero, appeso ad un ramo, cioè e nella totalità della vita, ma nello stesso tempo anche dentro la particolarità della vita, dentro alle circostanze che si presentano. Tutti noi dovremmo vivere sempre così, L’interdipendenza è abbracciare il reale attraverso tutti i sensi, ciò comporta stare nella circostanza abbracciando però una visione generale della vita, senza mai dimenticare che la circostanza fa parte dell’albero cioè del tutto ed è sicuramente in qualche modo collegata alle radici, cioè alla Visione generale del tutto.
“…appeso con la bocca”. Qui la bocca ha una simbologia importante, è la verità che prende voce, il verbo, e il maestro non a caso è appeso per la bocca come a rappresentare la sua missione di portare la conoscenza a tutti, nell’Ottuplice Sentiero è “Retta parola”.
“…le sue mani non arrivano al tronco… Neppure con i piedi riesce ad appoggiarsi ai rami…” Qui è rappresentata molto bene la verità che il maestro dovrebbe esprimere, ma che non si basa su qualcosa di fisso, non è afferrabile e classificabile, ma sempre in mutamento, pur rimanendo come l’albero collegata alle radici si manifesta in mille modi, noi dobbiamo sviluppare tutte le nostre sensibilità per abbracciare la realtà che è mutevole.
“…Sotto l’albero arriva un altro uomo e gli chiede: “Quale è il significato della vita?”.
Sempre all’improvviso arriva una circostanza nella nostra vita che ci chiede una risposta, anche quando ci sentiamo sicuri realizzati, tranquilli.

La visione zen

Il maestro è appeso per la bocca ad un ramo e si presenta una situazione dove gli viene chiesto di rispondere alla domanda sul significato della vita.
Al maestro viene richiesto di rispondere ad una domanda che è il frutto del suo lavoro di meditante Il lavoro per cui è diventato maestro. Se non risponde non va incontro al bisogno dell’uomo e non adempie al suo compito, però se risponde, perde la vita e non può aiutare nessuno. In quel momento, in che modo dovrebbe rispondere?
Questa storia viene usata come koan e viene assegnata al praticante zen perché ne realizzi l’essenza. Il significato intrinseco di questo koan aprirà sempre più l’occhio zen alla Verità ultima della vita in cui tutti siamo immersi. Questa storia è la storia della nostra vita, delle nostre mille domande sul suo significato, è la storia della ricerca di soluzioni ai problemi della nostra vita, e per i praticanti è la domanda cosa è la Natura di Buddha, cosa vuole dire siamo tutti dei Buddha.

Koan meditazione

  1. Cosa racchiude la domanda?
  2. Cosa si aspetta chi pone la domanda?
  3. Come risponde il maestro?
  4. Cosa significa la risposta?

1. Cosa racchiude la domanda?

La visione occidentale porta subito a porsi la domanda. “Rispondere o non rispondere?” Razionalità o istinto, ragione logica o passione?

Ragione o passione? Non è una novità, il dibattito è acceso da secoli e a fasi alterne abbiamo visto il prevalere dell’una o dell’altra. Ma alla luce del presente, qual è la trionfante? La ragione ci dà sicurezza, è consolante e rassicurante, ma nello stesso tempo immobilizza la realtà che invece per sua natura è dinamica. Tutti vorremmo fluire immersi nella realtà che è l’unico modo per essere sempre attuali nell’attimo e saper rispondere al mutare continuo della realtà, visto che: “l’unica cosa che non cambia mai è il cambiamento”. Lo Zen lo fa in una sorta di terra di mezzo, (il buddismo è chiamato la Via di mezzo) tra creatività e realtà, in cui non è indispensabile spiegare nulla logicamente, ma creativamente usare logica,  etica ed estetica, che sono le fondamenta anche della filosofia occidentale. Spesso viviamo  le relazioni con le situazioni e con gli altri come un campo di battaglia dove il giudizio e la ragione si fanno guerra alla passione e ai sentimenti. È importante trasformare la discordia e la rivalità dei nostri elementi in unità e armonia. Ragione e passione sono il timone e la vela della nostra anima in viaggio nella pratica zen. Se il timone o la vela si rompono, saremo abbandonati alla deriva o resteremo immobili in mezzo alle onde. Perché la ragione, se governa da sola, è una forza che limita; e la passione, lasciata incustodita, è una fiamma che brucia fino alla distruzione. E’ necessario che si elevi  la nostra ragione alle altezze della passione, e guidi la nostra passione con la ragione, affinché la passione possa vivere ogni giorno in ogni ragione della vita.  

Si dovrebbe riposare nella ragione e muovervi nella passione

Gli opposti che non si escludono, ma si conciliano; questa è la cultura zen che non si rifà ad alcun modello, ma stimola ad aderire alla situazione contingente per rintracciarne e usufruire del suo potenziale e da qui il discorso del passato, presente e futuro già scritto.
La domanda “Quale è il significato della vita” è l’essenza delle domande della nostra vita, racchiude tutte le mille domande che ci si presentano ogni giorno nella vita.
Analizzando la domanda potremo trovare la risposta, in ogni domanda è racchiusa la risposta, focalizziamo tutti i nostri sforzi sulla domanda, non cerchiamo facili razionali e logiche soluzioni, anzi non cerchiamo proprio le soluzioni, rimaniamo con la nostra domanda e continuiamo a ripetercela e a indagarla. Ogni domanda è il condensato, con un linguaggio diverso, della risposta che cerchiamo. Indagando a fondo la domanda senza cercare la risposta arriverà il momento in cui la domanda si aprirà, inizieremo a scoprire le vere origini della domanda tra le pieghe stesse della domanda, saremo portati alla sua radice e li troveremo quello che chiamiamo “risposta”.

Spesso in Occidente siamo abituati a vedere una domanda in base alla sua risposta, cioè poniamo una domanda e cerchiamo fuori di essa la risposta. Spesso non ci focalizziamo sulla domanda ma cerchiamo la risposta guardandoci attorno, cerchiamo la soluzione nel cambiamento futuro analizzando ciò che ci circonda, questo è un giusto processo, ma per prima cosa dovremmo partire dall’analizzare la domanda: “perché nasce questa domanda?”, e indagare la domanda dentro il momento presente, non cercare una soluzione nel futuro. Invece cerchiamo subito la soluzione, spesso con il risultato di trovare la soluzione non alla domanda ma ciò che noi pensiamo della domanda, mentre il vero significato della domanda ci sfugge e rimane chiuso nella domanda.

2. Cosa si aspetta chi pone la domanda?

Quando poniamo una domanda nello zen non ci aspettiamo altro che questa domanda venga esplosa dal maestro, cioè che ci restituisca la domanda stessa, ma formulata in modo diverso così che noi possiamo vederla da un altro punto di vista e la possiamo indagare ulteriormente. Non ci aspettiamo la risposta, ma la stessa domanda formulata in modo diverso, così che la nostra domanda si amplifichi e possa ulteriormente essere indagata.
Non aspettiamoci risposte confezionate alle nostre domande, quando queste sono troppo facili, non rispondono veramente al cuore della domanda quando la risposta è troppo facile, spesso non ha colto nel segno.

Spesso in Occidente quando poniamo una domanda ci aspettiamo una risposta e siamo innervositi quando ci rispondono con un’altra domanda, invece dovremmo essere grati di avere come risposta un’altra domanda da indagare, un maestro zen diceva “ Io sono interessato alle domande non alle risposte”. Se non cerchiamo facili soluzioni alle nostre domande, se la domanda è seria e degna di considerazione, non può che produrre altre domande e altre ancora, che permettono di indagare profondamente, la domanda originaria evolve in altre domande e più domande nascono e più ci si avvicina alla soluzione. Si è abituati ad ammirare le risposte che sembrano immediate, intuitive, geniali, sembrano centrare la domanda, non che questo non possa accadere, ma molto spesso si rivelano facili soluzioni di breve durata, questo perché hanno solo sfiorato la domanda, non sono entrate nel cuore di questa. Non è una questione di tempo, ma di profondità della domanda, la domanda non è da vedersi come una linea orizzontale, dove al termine troviamo la risposta, ma come una linea verticale che porta sempre più in profondità.
La domanda è un punto il suo cuore è la soluzione!

3. Come risponde il maestro?

Se chiediamo ad un maestro zen “Che tempo fa oggi”, la risposta non sarà. “C’è il sole, o piove”, ma potrebbe essere: ”Oggi ho bevuto del buon te”. Questa risposta può apparire senza senso e non collegata alla domanda, ma la nostra domanda cosa racchiude veramente? Perché poniamo la domanda sul tempo atmosferico? Il punto focale della risposta sul tempo, risiede nella domanda, cioè perché facciamo questa domanda? Se la risposta fosse stata “…c’è il sole, o piove..” noi avremmo portato a casa la nostra risposta, ma non avremmo veramente indagato sul perché abbiamo posto quella domanda, ci saremmo accontentati di una risposta giusta, ma superficiale, mentre la vera domanda che si nascondeva dietro a “Che tempo fa oggi?” probabilmente era “ oggi sarò influenzato dal tempo se piove? O se c’è il sole?” oppure “ Quello che succede oggi (non nel tempo atmosferico) è così importante e quanto mi influenza?”. La risposta del maestro. “Oggi ho bevuto del buon te”, ci spiazza, ma indagando nella sua risposta troviamo la risposta alla nostra vera domanda, “Oggi ho bevuto del buon te” ci dice che non bisogna farsi influenzare da nulla, essere tranquilli come quando si beve un buon te. Avrebbe potuto darci insegnamenti spiegando a lungo ciò che voleva dirci come risposta, ma non ci avrebbe dato l’immediatezza della visione della tranquillità sopra tutto. A volte non prestiamo attenzione alle nostre domande, ma solo alla risposta che cerchiamo, limitando così la possibilità di indagine. Questo non succede solo con le domande ma anche con le risposte, l’obiettivo sembra la soluzione, qualunque essa sia. Non accontentiamoci mai di una risposta, non scartiamo mai una domanda, quando la risposta nasce, la domanda sparisce, non è che abbiamo trovato la soluzione alla domanda, ma è la domanda stessa che non c’è più, quando la domanda non c’è più, allora significa che va tutto bene e abbiamo realizzato la risposta, ma che non è una risposta, ma è diventata una realtà autonoma, non la risposta ad una domanda. Perciò non aspettiamo soluzioni dalla domanda, ma solo domande dalla nostra domanda.

4. Cosa significa la risposta?

Il Maestro in questo koan risponde nell’unico modo possibile che è quello di rimanere attaccato al ramo con la bocca. Cosa significa questa risposta? Il maestro ci comunica con tutto se stesso che il significato della vita è: ” Quello che stai facendo”, mettere tutto se stessi nel momento presente qualunque cosa tu stia facendo, li troverai il significato di ciò che stai facendo, ma attenzione, non è un significato diverso da ciò che stai facendo, ma proprio quello che stai facendo è il significato di ciò che stai facendo. Lo so sembra un gioco di parole, ma se si cerca il significato di ciò che si sta facendo, fuori da ciò che si sta facendo, si perde di vista la realtà di ciò che stiamo facendo, con il risultato di non essere centrati sulla realtà che stiamo vivendo e di conseguenza ciò che stiamo facendo non è Centrato veramente. Per esempio, quale è il significato di bere acqua? Certamente dissetarsi, ma se mentre cerchiamo la soluzione al dissetarci abbiamo in mente solo dissetarci, cioè il significato del perché beviamo, cioè il risultato finale, perdiamo la risposta alla domanda che è “Bere acqua!”.
Questo non significa che poi in tempi successivi per esempio il significato di bere l’acqua sia dissetarsi, ma se pensiamo che la soluzione alla domanda sia dissetarsi, non abbiamo centrato il problema della sete.
Siamo abituati a pensare che la risposta sia la soluzione alla domanda, che la soluzione sia aver assolto la domanda, e mettiamo tutti i nostri sforzi per mantenere viva quella soluzione, quella risposta, ma la risposta è il naturale scorrere di continue domande che evolvono e si trasformano sempre, se pensiamo di aver trovato la soluzione e ci sforziamo di mantenerla, la realtà ci scorrerà tra le pieghe della nostra soluzione e rapidamente non sarà più la giusta soluzione, ma quella di una domanda che è già cambiata. La risposta trovata è definitiva alla domanda fatta, ma solo nel momento presente, quello successivo ha altre domande e altre soluzioni.
Enunciato zen:
Vita e morte accadimenti importanti, nulla è costante, tutto cambia rapidamente!

Considerazioni zen del koan

Questo koan ci offre la possibilità di riflettere sull’insegnamento del: “Vivere il presente nel presente”, sembra un altro gioco di parole, ma spesso viviamo il presente con la mente futura, cioè importiamo nel presente i risultati che vorremmo avere nel futuro.
Molti consigliano di avere sempre presente l’obiettivo da raggiungere, ma è come se un corridore importasse nella sua azione del correre il risultato che sarà tagliare il traguardo, con la conseguenza che le sue gambe non correrebbero più perché sarebbe arrivato.
Vivere il presente, richiede libertà dal futuro e dal passato, questo non significa che non si deve pensare all’obbiettivo, ma che l’obiettivo del presente è vivere il presente. Nel presente stesso è già racchiuso il passato e il futuro, non è una rinuncia al futuro per stare nel passato, dedicarsi totalmente al presente perché questo è carico del passato e portatore di futuro, solo così possiamo raggiungere un obiettivo, stando nel presente futuro.

UBI
Monastreo ZEN
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