METTERE IN MOTO LA NOSTRA RUOTA DEL DHARMA
Tutte le newsLa necessità di risvegliare la mente alla ricerca di verità. Gakudō-Yōjin Shū.
Le 10 indicazioni di pratica per conoscere noi stessi Gakudō-yōjin shū, indicate dal maestro zen Dōgen, uno dei più importanti e realizzati maestri della storia conosciuta dello zen, per cui non abbiamo timore di non credere che questi suoi insegnamenti portino veramente alla realizzazione, alla conoscenza profonda di noi stessi e in conseguenza della Natura Originaria dell’essere universale quale noi tutti siamo. Il risveglio a quello che nel buddhismo zen chiamiamo Natura di Buddha.
Come sarebbe, dice un maestro buddhista se… contemplando i nostri pensieri, le nostre azioni e le nostre sensazioni, e osservando le loro cause e i loro effetti, potessimo stabilire agio e fiducia nella vita, magari senza credenze o ideologie come cambierebbe? Come sarebbe la nostra vita se potessimo comprendere l’insostanzialità delle nostre tensioni delle nostre frustrazioni, e mettervi fine?
Il primo di questi insegnamenti è “il fondamentale” perché senza questo è difficile proseguire il cammino nella Via con determinazione. Tutti iniziamo la pratica zen portati da una ragione personale, ma solo quando iniziamo a percepire l’insostanzialità del nostro io, e forse anche di quella stessa ragione che ci ha portato a praticare, inizia il vero cammino di libertà interiore. Questa percezione di insostanzialità a volte arriva all’improvviso in zazen o in un koan o nell’incontro con il Sangha ma inizia a cambiare la nostra pratica, inizia risvegliare la nostra mente. Il maestro Dōgen definisce questo stato Bodai Shin la mente alla ricerca della Buddhità, la mente che sviluppa le qualità per giungere al Risveglio.
Dōgen Zenji scelse e discusse i punti base a cui fare attenzione quando pratichiamo e li riassunse nel Gakudō-yōjin shū che divenne poi il suo primo testo stampato.
Tra questi dieci punti, Dōgen Zenji pose l’accento sul primo. Il Risveglio della Mente che Cerca, e per questo, percepire l’impermanenza l’insostanzialità di ogni cosa è il motore per risvegliare la mente della ricerca Bodai Shin. Vedere l’impermanenza è il fondamento dei suoi insegnamenti e anche di quelli del Buddha Shakyamuni. Come Dōgen disse ripetutamente nello Shobo-genzo-Zuimonki 1: “L’impermanenza è una realtà molto concreta che incontriamo ogni giorno proprio davanti ai nostri occhi. Nessuno può negarlo”. Quando pensiamo alle nostre vite, per affrontare la sofferenza con consapevolezza non possiamo che vederla alla luce dell’impermanenza vedere che ogni cosa è importante al momento presente in cui la viviamo ma è allo stesso tempo nel flusso del cambiamento.
Dōgen stesso ci dice che “Vedere l’impermanenza è il punto di partenza del nostro viaggio alla ricerca della Via” è la partenza della messa in moto della ruota del dharma come si dice nel buddhismo classico, la mente che cerca: BodaiShin.
Gakudō-yōjin shū
1° La necessità di risvegliare la mente alla ricerca di verità: Bodhai Shin
Stabilire il desiderio della ricerca
Nella prima delle dieci istruzioni del Gakudo-yojin-shu, Dōgen Zenji ha sottolineato l’importanza di far sorgere la mente determinata che cerca la Via. Che cerca noi stessi, la mente che cerca la via, secondo Dōgen, è la mente che ha una sensazione diretta, che sperimenta l’evanescenza o possiamo dire l’in-sostanzialità di tutte le cose derivata dal principio buddhista dell’impermanenza e quindi di Sunyata o Ku nello zen, l’evanescenza di ogni esistenza compresa quell’identità che noi teniamo stretta per non perderci e che chiamiamo io.
Evanescenza è l’evanescenza di un’immagine, un profumo, un ricordo di una identità a cui rimaniamo attaccati e che determina ogni nostra emozione, pensiero e agire. Non si tratta di non avere e usare i cinque aggregati (aggregati-Skanda.scr/ Goun. giapp.)2, ma di iniziare ad essere liberi dagli attaccamenti che questi producono. Non si tratta di non avere più piacevoli o spiacevoli ricordi o sensazioni ma di viverle in piena libertà, questi condizionamenti non sono più il motore aggregante e condizionante.
l buddhismo considera l’essere umano composto di cinque aggregati: forma, sensazioni, percezioni, formazioni mentali e coscienza. Essi compongono ogni cosa, sia in noi che nella natura come nella società.
L’attaccamento alla forma, alle sensazioni, alle percezioni, alle tendenze e alla coscienza che nascono da questi cinque aggregati crea una prigione dentro la quale viviamo. Non sono gli aggregati l’illusione, motore della nostra vita, ma il valore perituro che diamo questi.
Quando nella pratica e in zazen iniziamo a percepire direttamente questo senso di insostanzialità, nella vita di tutti i giorni e nel nostro affannarci a riconoscere ed affermare il nostro io, tutto diviene più leggero il nostro io insostanziale non è scomparso ma è libero, non è una perdita di identità, ma un risveglio di libertà.
L’attaccamento agli aggregati sono l’illusione di un io e nascono per ragioni profonde di non conoscenza di noi stessi, attribuiamo a questi la costituzione di chi “sono io”: io sono fatto così… provo queste emozioni… penso questo… agisco cosi… e vivo condizionato da questa identità che do a me stesso.
Quando inizio a percepire l’impermanenza, l’evanescenza di tutto questo, che non vuole dire non avere più nostre: forme, sensazioni, percezioni, formazioni mentali e coscienza “nostri” dettati dalle nostre esperienze, ma vuole dire percepirli come “quello che è in quel momento”, una parte di me, il mio io non è legato solo a quell’ “io” che si manifesta in quel momento, è da questa percezione di insostanzialità che inizia il vero viaggio verso la nostra vera Natura libera e incondizionata. Quante volte avremmo voluto non essere noi stessi, non provare quelle sensazioni, emozioni, non avere quei pensieri o quell’agire? Eppure vi rimaniamo attaccati, condizionati, è difficile liberarsene e cambiare, perché nel profondo ci identifichiamo con tutto quell’insieme anche se non lo vorremmo.
La pratica zen ci fa percepire che ogni cosa del nostro “io” è insostanziale e per questo possiamo iniziare il vero cambiamento, e per questo nasce dentro di noi la vera ricerca al nostro io alla nostra Natura di Buddha.
EVANESCENTE: Che va svanendo, che s’affievolisce, che scompare a poco a poco. Le qualità di ciò che è evanescente: inconsistenza, leggerezza, trasparenza, vaghezza, progressiva perdita di consistenza, queste sono le qualità che si sviluppano in noi quando iniziamo a percepire il nostro io evanescente e sviluppano le “qualità opposte” utili alla pratica nello zen (e in ogni via spirituale): chiarezza, concretezza, forza, nitidezza, accentuazione, intensificazione, rafforzamento della nostra ricerca. Dōgen chiamava tutto questo Bodai Shin La mente del Risveglio.
BodhiCitta (sanscrito, “Mente di illuminazione” o “Mente del Risveglio” in giapponese: 菩提心 BodaiShin),
Il termine Hotsu bodaishin nello zen “significa suscitare l’aspirazione al risveglio” Di solito, ciò si riferisce al procedere da parte del praticante nell’atteggiamento spirituale di un bodhisattva, ovvero, nell’aspirazione a raggiungere la condizione di Buddha (risvegliato). Pertanto, suscitare l’aspirazione al risveglio a essere un Buddha si riferisce al dare origine alla decisione di iniziare la pratica o l’impegno buddista, anche se in altre occasioni Dōgen né da una visione più profonda che è quella della realizzazione stessa come per Shikantaza dove pratica (di zazen) è al contempo stesso realizzazione. Per questo anche la mente che cerca, il vero cercare è indicato da Dōgen come Uno: pratica e realizzazione.
La mente relativa (Bodai) è di grande aiuto per mettere in moto la ricerca trasformativa, e per questo, la nostra mente per quanto condizionata viene tenuta in grande considerazione e tutti gli insegnamenti sono rivolti a lei. Senza una comprensione e realizzazione anche della mente “ordinaria” l’essere umano difficilmente incomincia a cercare la sua Via di trasformazione BodaiShin, perché è sempre soffocato dalla mente discriminante e dai suoi attaccamenti egoici. A questa prima pratica fanno riferimento tutti gli sforzi degli insegnamenti dei maestri zen e il rapporto tra maestro e discepoli.
La mente relativa (ma sappiamo che poi nel nostro risveglio la differenza tra mente relativa e risvegliata cadrà) utilizza il desiderio della giusta parola, azione, e pensiero (come l’ottuplice Sentiero) come mezzi per destare negli altri la mente che cerca il Buddha, è la Via di tutti coloro che hanno risvegliato essi stessi questa mente, ed agire in questo modo è conforme ai voti dei Bodhisattva. Limitarsi a soddisfare i desideri mondani degli altri non è la vera Via.
Il Bodhisattva Kāśyapa lodò Śākyamuni il Buddha con questi versi:
“Anche se la mente che cerca il Buddha ed il risveglio sono una cosa sola, tra queste due condizioni è più difficile risvegliare la prima, poiché essa è la mente che promuove il risveglio anche negli altri prima del nostro. Venero e rispetto questa mente al di sopra di tutte le altre”.
Come risvegliare la mente al desiderio di verità?
Un passo del Gaku Do Yojin Shu dice che ci sono differenti pratiche per risvegliare nella nostra mente il desiderio di realizzazione, ma Dōgen ci dice che due sono essenziali. Uno è dedicarsi alla meditazione zazen con tutto il cuore, l’altro è studiare e praticare sotto un vero maestro Zen, ascoltando il suo dharma.
- La prima pratica è dedicarsi con il cuore aperto e libero allo zazen il centro della pratica Zen, favorito anche dalla seconda pratica. Per quanto difficile ci sembri quella che stiamo vivendo è la nostra vita e il risvegliarsi completamente a ciò che accade, durante zazen, dentro di noi e intorno a noi stabilendo agio e fiducia in noi stessi e nella nostra pratica è il nostro lavoro e impegno.
Quando ci sediamo di fronte al muro, anche se il muro influenza i nostri occhi, non pensiamo: “Io sono il soggetto e il muro è un oggetto”. Il muro è effettivamente lì. Ma questa separazione soggetto/oggetto inizia a farsi sempre più inconsistente, e il mio io con tutti i suoi problemi e convinzioni si sbiadisce nell’evanescenza. È il primo nostro grande risveglio. Quindi sedersi nello zendo di fronte al muro e lasciar andare il pensiero è qualcosa di molto speciale, una cosa molto preziosa, che raggiunge tutte le nostre attività. In quasi tutte le nostre attività c’è una separazione c’è un soggetto, io, e un oggetto in zazen tutto inizia a unificarsi.
- La seconda pratica essenziale dice Dōgen è studiare e appendere il Dharma nella pratica sotto un vero maestro, è il dedicarsi con il cuore sincero e aperto, e comporta tante cose: la fiducia nell’altro (il maestro e il Sangha), imparare ad avere un rapporto aperto non basato solo sulle proprie convinzioni e visioni, anche del dharma stesso, è la fiducia nell’accettazione che ti porta il maestro con i suoi Insegnamenti, i suoi silenzi profondi come le sue domande spesso illogiche, i periodi assieme di zazen (Sesshin), il rapporto I Shin den Shin che cresce e diviene unità di pratica tra maestro e praticante.
Questo percorso con un maestro zen è rivolto principalmente alla nostra mente oscurata dall’egoica individualità, è la pratica che fa risvegliare in noi la mente che cerca un cambiamento di stato di coscienza in modo da diminuire sempre più la tirannia del nostro ego individuale che ci separa dalla realizzazione finale: il conseguimento della chiarezza che noi siamo già la nostra condizione originaria di esseri Liberi e incondizionati quella che nel buddhismo chiamiamo Natura di Buddha..
Nel buddismo classico vediamo che la causa della sofferenza è il desiderio il desiderio prende forma da un sentimento, il sentimento che ci manca qualcosa e desideriamo averlo. Il desiderio quindi, nasce da un io che è mancante di qualcosa, è diretto verso qualcosa o qualcuno. L’essere umano ha un bisogno continuo di desiderare. Il desiderio di avere qualcosa che non si possiede, Il desiderio è emozione, e alimenta emozioni. L’essere umano vive di questo. Il desiderio della realizzazione è il più nobile desiderio che possiamo avere in noi. Quando pratichiamo questo desiderio, che potrebbe sembrare un ostacolo, questo diviene pratica, come dice il maestro Dōgen. Quando si nutre il giusto desiderio, si nutre la propria energia vitale e questo permette l’attivarsi della mente e del corpo, nonché di una serie di risorse per far sì che le cose accadano. Il desiderio autentico genera movimento prima in sé stessi e poi all’esterno.
È per questo che Dōgen dice che la prima pratica è generare il desiderio Bodai Shin la mente che desidera cercare la mente che è risvegliata, si è svincolata da ogni pensare al pensare, e sviluppa il desiderio del trovare una soluzione definitiva alla sofferenza, Il desiderio di quello che manca… senza questo forte desiderio tutto è appannato… Zazen è melassa, gli insegnamenti di dharma che ascolto “buone parole” ma non serviranno mai a fare il salto dal palo di 100 piedi.
“Studiare la via del Buddha è studiare sé stessi. Studiare sé stessi è dimenticare sé stessi. Dimenticare sé stessi è essere attualizzati da miriadi di cose. Quando si è attualizzati da miriadi di cose, il proprio corpo e la propria mente, così come i corpi e le menti degli altri, scompaiono. Non rimane traccia di realizzazione, e questa assenza di traccia continua all’infinito.”
C’è chi sostiene che il “Desiderio di Verità” è il desiderio della suprema mente risvegliata, corretta e bilanciata.. perché questo forte desiderio di trovare te stesso fa sì che dedichi tutto te stesso alla ricerca di te stesso… non il tuo pensare, le tue convinzioni, i tuoi sentimenti che sono ottimi ma ancora relativi, quando hai un forte desiderio di verità di te stesso, di uscire dalla sofferenza, di deragliare da quei binari a senso unico della tua vita e iniziare a esplorare nuovi modi di essere e di esistere, l’unica via è dedicare tutto te stesso a te stesso… in questo essere tutto il desiderio di ricerca dell’essere diviene pratica e realizzazione, il processo che avviene in questo desiderio è che ogni identità di io scompare, quell’io relativo scompare assorbito interamente dalla mente che cerca … e quando quell’io si è fuso interamente nell’io che ricerca, l’io è scomparso, il desiderare è scomparso perché non c’è più nessun io che desidera.
Questa è la via per risvegliare la mente che ricerca, il desiderio della suprema illuminazione libero da tutto.
- Shobogenzo Zuimonki. Discorsi Informali di Dogen Eihei. (Aldo Tollini. Ed. Bompiani) ↩︎
- https://it.wikipedia.org/wiki/Skandha
Nel Canone pāli questa dottrina è esposta per la prima volta nell’Anattalakkhana Sutta, o Insegnamento sulle caratteristiche del non-sé.
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