Finalmente nudi
La voce del Maestro
Prendere rifugio e prosternarsi sono gesti profondi che vanno oltre la semplice ritualitร ; rappresentano un atto di abbandono e di apertura totale. Nel cammino del buddhismo zen, questi gesti sono simboli di umiltร e di rinuncia a tutte le false identitร e attaccamenti che ci separano dalla realtร profonda. “Spogliarsi delle 80 mila vesti”, come dice il Koan, significa liberarsi di tutte le maschere, i concetti, le identificazioni egoiche che ci appesantiscono e ci allontanano dalla nostra essenza autentica.
La prosternazione, รจ un atto โmolto difficileโ occorre una profonda comprensione e arrendevolezza, di completa umiltร e sottomissione, ma non nel senso di umiliazione, diversamente รจ solo una formalitร di rito. ร un gesto che simboleggia il lasciar andare il nostro ego, il nostro bisogno di controllo e superioritร , per riconoscere la nostra piccolezza di fronte alla vastitร dellโesistenza e al mistero dellโinterconnessione. ร un atto di purificazione, dove ci pieghiamo non solo fisicamente, ma anche mentalmente e spiritualmente, abbandonando ogni forma di arroganza o attaccamento a ciรฒ che pensiamo di essere.
Nel contesto della pratica vera e profonda dello Zen, queste azioni di rifugio e prosternazione ci insegnano che solo spogliandoci di tutte le “vesti” che abbiamo indossato, che siano quelle dellโidentitร sociale, culturale o personale, possiamo veramente accedere alla nostra essenza piรน profonda. La pratica zen, attraverso questi gesti di umiltร e di rinuncia, ci invita a riconoscere che la veritร non รจ qualcosa da conquistare, ma qualcosa da abbracciare, attraverso lโabbandono di tutto ciรฒ che ci impedisce di vederla chiaramente.
“Mi rifugio nel Buddha, che ha compreso la natura della sofferenza e il cammino che conduce alla sua cessazione.”
“Prendere Rifugio” nello Zen รจ un concetto estremamente profondo, che riflette una comprensione matura del cammino spirituale. Non si tratta di una fuga dalla realtร o dal mondo, ma di un impegno a immergersi completamente in esso, con tutte le sue contraddizioni e sfide. Il rifugio nel Buddha, Dharma e Sangha non รจ un rifugio da qualcosa, ma un vivere allโinterno della vita stessa, nella sua totalitร , che abbraccia anche le difficoltร e le imperfezioni. ร un atto di accettazione totale, che ci invita a vivere pienamente la realtร , senza cercare di evitarla o di sfuggirle creando false visioni e illusioni.
Il Buddha ci offre la scoperta della nostra vera naturalezza, oltre le convenzioni e le identitร frammentate. Nel Dharma troviamo la saggezza che ci guida ad affrontare la realtร in modo autentico e profondo. Nel Sangha, infine, abbiamo una comunitร che ci supporta, creando uno spazio di condivisione e sostegno nella pratica costante. Insieme, questi Tre Rifugi ci accompagnano nel nostro cammino, fornendoci le risorse spirituali per vivere in armonia con noi stessi e con il mondo. In un’epoca in cui le narrazioni sono molteplici e la ricerca della veritร spesso avviene nell’isolamento individuale, il praticante zen รจ incoraggiato a seguire il proprio percorso senza cercare rifugio in concetti astratti o separati. Piuttosto, รจ invitato ad abbracciare appieno la natura della vita, senza ritirarsi o fuggire dalle sfide quotidiane. Questa visione della responsabilitร รจ particolarmente innovativa nello zen: non si tratta di sfuggire al caos, ma di affrontarlo con un cuore saldo e una mente lucida. Il vero rifugio sta nel restare presenti nel qui e ora, senza cercare di modificarlo o scappare da esso, ma agendo all’interno di esso con armonia, consapevolezza e compassione.
Sanpai: Tre Fasi di Trasformazione
Nel contesto buddhista: Sanpai le tre prostrazioni รจ un atto di profondo rispetto e venerazione. Anche se la prostrazione viene spesso compiuta davanti a una figura del Buddha o a un altro simbolo devozionale, l’atto stesso non รจ limitato a questa figura. In fondo, la figura del Buddha rappresenta la nostra vera natura, la consapevolezza e l’illuminazione che possiamo raggiungere. ร un modo per ricordarci di guardare oltre l’ego e di riconnetterci con qualcosa di piรน grande, al di lร delle nostre idee e convinzioni. In zen, come in molte altre tradizioni spirituali, le azioni rituali non sono fini a sรฉ stesse, ma servono come strumenti per trascendere la mente concettuale e immergersi nella realtร immediata, senza giudizi nรฉ pensieri.
Penso che alcuni di noi abbiano piรน difficoltร con questo rituale rispetto ad altri, forse, all’inizio della pratica. Io stesso non ero mai entusiasta di farlo. E poi ho cominciato a pensare, “Aspetta un attimo, tutti questi grandi maestri illuminati, per loro sarebbe naturale fare questo. Forse c’รจ qualcosa di importante in tutto ciรฒ.” E poi, alla fine, ti rendi conto che se fai una prostrazione o un inchino senza pensare a te stesso, al giusto o sbagliato o a qualcos’altro, quando la mente รจ veramente libera da tutto questo, allora c’รจ qualcosa di veramente straordinario che si puรฒ sperimentare mentre fai una prostrazione.
Questo gesto esprime umiltร e devozione, nonchรฉ il riconoscimento dell’interconnessione tra tutti gli esseri viventi. Di solito, consiste in tre inchini profondi durante la recitazione dei Sutra o prima e dopo la meditazione. Il Simbolismo del numero tre รจ comune a molte tradizioni spirituali, puรฒ rappresentare vari aspetti fondamentali: il Buddha, il Dharma e il Sangha, ma anche i tre momenti del passato, presente e futuro, che sono visti come interconnessi e impermanenti. L’atto di Sanpai รจ dunque un rituale profondo che non solo esprime un gesto di riconoscimento, ma aiuta anche a radicare l’individuo nel momento presente, nella riscoperta che tutto รจ interconnesso e impermanente, e che la pratica spirituale รจ un cammino di continua trasformazione.
La prima prostrazione: Il corpo. La prima prostrazione รจ un atto che riguarda principalmente il corpo. Ciรฒ implica il rilascio delle tensioni fisiche e l’invito a lasciar andare la propria arroganza e rigiditร mentale. ร un atto di abbandono del controllo e dell’attaccamento al proprio corpo. Inchinarsi davanti al Buddha, simbolicamente, รจ il gesto che indica la rinuncia a un’idea rigida di sรฉ, lasciando che il corpo si sottometta al flusso della pratica. La prostrazione in questo senso diventa un atto di purificazione fisica, attraverso il quale il praticante si rilassa e si svuota.
La seconda prostrazione: La mente. La seconda prostrazione riguarda il lasciare andare l’ego e le costruzioni mentali. Qui, il gesto non รจ solo fisico, ma un atto mentale di abbandono delle illusioni che creiamo intorno a noi, del nostro attaccamento ai concetti, alle opinioni e alle identitร che difendiamo. Questa prostrazione rappresenta un’apertura della mente, in cui si impara a riconoscere che le idee e le visioni che abbiamo di noi stessi e degli altri sono solo costruzioni mentali, che non corrispondono alla realtร ultima. Inchinarsi di nuovo, questa volta con la mente, รจ un gesto di abbandono mentale, un invito ad accogliere la realtร senza interpretazioni o pregiudizi.
La terza prostrazione: Il cuore. La terza prostrazione รจ l’atto che coinvolge il cuore, simbolo della nostra naturale compassione e connessione con tutti gli esseri. In questo gesto, non solo abbandoniamo l’ego e i pensieri, ma ci apriamo completamente alla nostra vera natura, che รจ quella di compassione e amore. Qui si realizza l’unione con l’altro, l’accoglienza della nostra stessa vulnerabilitร e dell’impermanenza della vita. ร l’atto di riconoscere che, sebbene siamo soggetti alla sofferenza, possediamo anche la capacitร di risvegliare nel nostro cuore la compassione universale verso tutti gli esseri in quanto giร Buddha realizzati.
In questo modo, le tre prostrazioni diventano un atto di liberazione, in cui il praticante si svuota di sรฉ per accogliere un nuovo inizio, una nuova visione della realtร . Ogni volta che ci prosterniamo, siamo invitati a riconoscere la nostra essenza di Buddha, a rinnovare la nostra intenzione di praticare la via della saggezza e della compassione. Non รจ un gesto che ci fa sentire inferiori, ma un gesto di liberazione dalle catene dell’ego, un ritorno alla semplicitร e alla purezza della nostra vera natura.
Puoi vedere le prostrazioni come atto di fede verso la tua natura incontaminataโฆ La parola “fede”, per alcuni di noi, suggerisce forse una sorta di debolezza della mente, magari basata su questo etos scientifico che domina la cultura occidentale? Ma nella pratica zen, stiamo davvero ponendo la nostra fede in ciรฒ che non puรฒ essere compreso con la nostra mente ordinaria, per quanto brillanti possiamo essere. Stiamo ponendo la nostra fede nell’ignoto, in ciรฒ che รจ oltre i limiti dell’empirismo.
C’รจ un verso nel Mumonkan, una raccolta di koan, dove Mumon scrive: “Ti aiuta ad attraversare il fiume quando il ponte รจ rotto. Ti accompagna quando torni al villaggio in una notte senza luna.” Cos’รจ “esso”? Beh, potremmo dire che sono queste frasi che continuiamo a usare, la nostra Vera-natura, la Natura-originale, la Mente-essenziale. Ma a cosa porta tutto ciรฒ? ร nulla. Stiamo ponendo la nostra fede in nulla, in questo Vero-sรฉ che non รจ un sรฉ. La fede si basa sulla convinzione che quando il Buddha disse “Tutti gli esseri sono ugualmente dotati di questa natura illuminata”, non si stava nรฉ sbagliando nรฉ mentendo. In termini pratici, cioรจ in termini di pratica, la fede piรน basilare รจ la fede nella pratica stessa, nel respiro, nel koan, in ciรฒ che stiamo facendo come pratica di meditazione. Questo รจ ciรฒ che conta davvero nella pratica dello zen, abbiamo davvero bisogno solo di abbastanza fede per continuare a sedere in zazen. E da lรฌ, tutto il resto si svilupperร come mantenere i precetti e la generositร , le innumerevoli buone azioni e la via della giusta vita vengono tutte dallo zazen.
Questa รจ una delle cose che mi ha sempre attirato nello zen: semplicemente fare la pratica, giorno dopo giorno, e continuare a farla, e continuare a farla. E poi le cose si sveleranno se riusciremo a mantenerci su questa strada senza fermarci e pensare, โsto facendo progressi? Quanto tempo ci vorrร ?’ ร lรฌ che davvero ci mettiamo i bastoni tra le ruote. Nello zen, la fede si basa sull’esperienza. ร facendo la pratica, quella รจ l’esperienza, ed รจ attraverso l’esperienza della pratica per un lungo periodo di tempo che sviluppiamo la fede, che cresciamo nella fede.
C’รจ un passo famoso del Buddha dove lui dice: “Non credere soltanto perchรฉ ti รจ stato mostrato un antico scritto di un uomo saggio. E non credere a niente solo sull’autoritร dei tuoi insegnanti o monaci. Ciรฒ che dovresti accettare come vero e come guida per la tua vita รจ ciรฒ che corrisponde alla tua ragione e alla tua esperienza, dopo un’indagine approfondita, e ciรฒ che รจ utile, sia per il tuo benessere che per quello degli altri esseri viventi.” Il grande maestro cinese Lin-Chi (Rinzai in giapponese) dice nella sua raccolta di insegnamenti Rinzai Roku: : “I praticanti di oggi non arrivano da nessuna parte. Cosa vi affligge? La mancanza di fede in voi stessi รจ ciรฒ che vi affligge.” Quello che intende davvero รจ la mancanza di fede nel vostro no-io, in ciรฒ che va oltre l’io, che รจ anche noi.
La fede non รจ qualcosa di statico, ma รจ mutevole. ร qualcosa che puรฒ crescere. ร come un muscolo. Si rinforza attraverso la pratica. Quindi non devi preoccuparti se senti di mancare di fede. Basta che tu abbia abbastanza fede per fare la pratica, essa crescerร .
Dลgen Zenji โShลbลgenzล”
Il maestro Dลgen, il fondatore della scuola Soto Zen, parla del rifugio nel Buddha come un atto di impegno attivo e di profonda trasformazione. Non รจ una fuga dalla sofferenza, ma una realizzazione diretta della propria natura di Buddha e della saggezza che ne deriva.
“Prendere rifugio nel Buddha significa non fuggire dal dolore del mondo, ma affrontarlo con l’illuminazione che trasforma ogni situazione. ร attraverso la pratica che possiamo realizzare il significato del rifugio, che non รจ separato dal nostro impegno a trasformare la sofferenza in saggezza e compassione.”
(Dลgen Zenji, Shลbลgenzล, “Bodaisatta-shishล”)
In questa citazione, Dลgen enfatizza che il rifugio nel Buddha รจ un cammino di trasformazione, non una via di fuga.
Hakuin Ekaku – “Il risveglio del cuore del Bodhisattva”
Hakuin, uno dei maestri piรน influenti zen, insegna che la vera illuminazione implica non solo l’auto-realizzazione, ma anche l’impegno attivo per il bene degli altri. Il rifugio nel Buddha รจ, quindi, un atto di coraggio e impegno nel mondo, non un abbandono.
“Il Buddha non รจ una figura da venerare lontanamente, ma il rifugio รจ un impegno nel cuore del mondo, nella sofferenza e nella gioia di tutti gli esseri. Il vero rifugio รจ l’azione di compassione, non il rifugio in un concetto astratto.”
(Hakuin Ekaku, The Awakening of the Bodhisattva’s Heart Thich Nhat Hanh, Parallax Press)
In questa citazione, Hakuin sottolinea che il rifugio nel Buddha รจ un atto che non ci separa dal mondo, ma ci impegna attivamente in esso. Hakuin, noto per la sua enfasi sulla pratica diretta e l’azione compassionevole, sottolinea che il rifugio nel Buddha non รจ qualcosa di puramente teorico o simbolico, ma deve tradursi in azione concreta nel mondo, soprattutto nell’aiuto e nel sostegno agli altri esseri.
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