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Buddhismo e natura: perché l'ambiente è una questione religiosa.

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Buddhismo e natura: perché l'ambiente è una questione religiosa.

Il rapporto tra buddhismo e ambiente è cresciuto, fin dall’inizio, sulla consapevolezza che tra me, te, noi uomini e tutti gli esseri senzienti non c’è nessuna differenza.
Per questo motivo, i precetti etici buddhisti sono sempre rivolti non solo verso gli altri uomini, ma verso tutti gli esseri viventi che partecipano con noi nella rete delle esistenze.

Uno dei primi esempi di questo rapporto tra buddhismo e ambiente sono gli Editti di Asoka, il primo esempio di legislazione buddhista nella storia, composti nel II secolo A. C.

In questa raccolta di leggi, il primo sovrano indiano convertito alla via del Buddha estende la sua sovranità non solo ai sudditi, ma anche a tutti gli animali e all’ambiente del suo regno, impedendo a chiunque di fare violenza a qualsiasi essere vivente senza un valido motivo.

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Ventisei anni dopo la mia incoronazione vari animali furono dichiarati da proteggere  pappagalli, maina, aruna, oche rosse, anatre selvatiche, nandimukha, gelata, pipistrelli, formiche regine, tartarughe d’acqua dolce, pesci senza spine, vedareyaka, gangapuputaka, pesci, tartarughe, porcospini, scoiattoli, cervi, tori, okapinda, asini selvatici, piccioni selvatici, piccioni domestici e tutte le creature a quattro zampe che non sono né utili né commestibili. Quelle capre, pecore e scrofe che hanno dei piccoli o danno latte ai loro piccoli sono protette, e anche quelle con meno di sei mesi. I galli non devono essere trasformati in capponi, le stoppie che nascondono esseri viventi non devono essere bruciate e neanche le foreste devono essere bruciate senza ragione o per uccidere delle creature. Un animale non deve essere nutrito con un altro.

La sensibilità del buddhismo per l’ambiente crebbe nel corso dei secoli e facilitò l’incontro del buddhismo con le altre grandi culture asiatiche, come quella cinese e quella giapponese, aiutando lo sviluppo delle scuole mahayana, come lo zen, che si svilupparono tra Cina, Giappone e il resto dell’Estremo Oriente.


I maestri zen cinesi e giapponesi cercarono di risvegliare la sensibilità della natura interdipendente tra uomo e ambiente in tanti modi, non solo esponendo i loro insegnamenti in saggi e sermoni, ma anche producendo una grande varietà di opere d’arte che segnarono la sensibilità estetica delle culture che rimasero da essi influenzate.
Attraverso poesie, dipinti, calligrafie e opere di architettura, i maestri zen raffigurano e mostrano in modo semplice e diretto realizzazioni di realtà complesse, a volte impossibili da spiegare con un procedimento logico e razionale.

Nao mitashi 
 hana ni akeyuku
 kami no kao
 
 Ancora, vorrei vedere 
 tra i fiori dell’alba, vagare
 il volto del dio.
 
 (Basho) 

Negli insegnamenti del buddhismo mahayana la Natura di Buddha è la vera forma della natura che viviamo, il che significa che ogni fenomeno naturale è parte della Natura di Buddha,e può quindi esprimere importanti insegnamenti per chi sa ascoltarli.

Ciò ha portato molti maestri zen ad adottare il rapporto con la natura come una pratica importante, ritirandosi a vivere in eremi sulle montagne, e sviluppando la loro consapevolezza e la loro compassione vivendo a diretto contatto con gli animali e la natura selvaggia.
Così facendo, essi percepivano direttamente quanto la presenza di ogni essere è importante per la nostra sopravvivenza e quanto poco possiamo controllare il flusso che alterna vite e morti a cui le nostre condizioni sono legate.
Passeggiando per i boschi in solitudine, anche noi possiamo percepire quanto l’immersione nella miriade di colori, suoni e odori del mondo della natura può riportarci alle radici della nostra consapevolezza e trovare un rinnovato senso di libertà.

Nella tradizione Zen, il maestro Dogen, fondatore della scuola Soto giapponese, mostra una contemplazione profonda della relazione tra la natura e l’Illuminazione in parecchi passi delle sue opere e in parecchie poesie.

I colori delle montagne,
 gli echi della valle.
 Ogni cosa per come è,
 è la voce e il corpo
 del mio amato Shakyamuni. 

La cultura occidentale, formata su basi filosofiche molto diverse, ha fondato il suo pensiero su un rapporto eterogeneo tra gli uomini e la natura, nel quale, quasi sempre, gli uomini sono  padroni e la natura è lo strumento utile a soddisfare i loro desideri e raggiungere i loro obiettivi.
Scanso rare eccezioni, anche quando viene sentito un senso di responsabilità dell’uomo nei confronti della natura, il rapporto occidentale tra uomo e ambiente rimane un rapporto paternalistico, nel quale la conservazione dell’ambiente e la tutela degli altri animali è una proprietà da gestire o un possesso da amministrare.
E’ quasi possibile considerare la mentalità che ci ha portato a sfruttare le risorse naturali per le nostre esigenze e la mentalità che ci porta ad interessarci della preservazione del nostro ecosistema secondo la nostra coscienza come due facce di una stessa volontà di controllo, nella quale l’uomo si rapporta sempre con un oggetto, non con una realtà con cui instaurare un rapporto di dialogo e ascolto alla pari.

Il rapporto tra buddhismo e ambiente può essere quindi utile alla società occidentale per scoprire l’ecologia da un punto di vista diverso.
Secondo la mentalità buddhista, la natura non è più qualcosa da gestire secondo una qualche coscienza, ma quella parte di noi stessi che permette la nostra stessa esistenza e che ci determina nello stesso modo in cui noi la influenziamo. Meno ci saranno differenze tra noi e la natura, più la nostra pratica né gioverà.
Conoscere la natura significa conoscere noi stessi. Avere cura dell’ambiente significa avere cura di noi stessi.
Come insegna il maestro Tetsugen Serra in Urbanzen, mettere in pratica gli insegnamenti buddhisti per la tutela dell’ambiente non è solo una responsabilità sociale, ma diventa parte integrante della scoperta di noi stessi e dello sviluppo di una maggiore maturità personale, in un processo in cui crescita personale ed impegno sociale diventano una cosa sola.

Una volta un monaco chiese al maestro zen Jingcen “Come fai a mutare le montagne, i fiumi e la grande terra in te stesso?”

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