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Le 8 Fasi della Vita Monastica - 2° Parte

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Le 8 Fasi della Vita Monastica - 2° Parte

La vera natura del nostro impegno

…….Prima o poi, entriamo in una nuova fase del cammino. Cominciamo a esplorare in modo più onesto, senza l’idealismo iniziale, la vera natura del nostro impegno verso la pratica e la comunità. È un passaggio delicato e complesso. Grazie alla pratica, che non abbiamo abbandonato, ora abbiamo accesso a parti più profonde della nostra mente. E con esse emergono in modo più nitido anche i nostri dubbi, le ferite irrisolte, la confusione. Ci sono giorni in cui sentiamo con forza di voler proseguire, forse per sempre: prendere i voti, consacrare la nostra vita al cammino, perché non esiste nient’altro di più autentico. Ma ci sono anche giorni in cui desideriamo andarcene, allontanarci da tutto, e da tutti. Ci sentiamo confusi, tirati in direzioni opposte. Ci sono tante cose che vogliamo, e non tutte sembrano conciliabili.

Questo stadio è difficile. E deve esserlo.

Non va saltato o chiuso in fretta: se ci affrettiamo a prendere una decisione, uscire, restare, impegnarci… potremmo farlo per evitarci, non per ascoltarci. Alcuni se ne vanno in questo momento e poi se ne pentono. Altri restano, o si impegnano profondamente, e più tardi si accorgono di aver scelto troppo presto, spinti da un’idea o da un bisogno, non da una reale maturazione.

È importante dare tempo al tempo.
Restare, anche se è scomodo. Accettare l’incertezza. Parlare con insegnanti, con praticanti più esperti. Anche se, in fondo, sappiamo che i consigli aiutano fino a un certo punto: la comprensione vera deve sorgere da dentro. A volte seguire ciecamente chi stimiamo può portarci fuori strada. Ecco perché gli anziani devono ascoltarci con sensibilità, senza proiettare su di noi i propri desideri o aspettative. Ma il loro sguardo, se offerto con attenzione e rispetto, può essere uno specchio prezioso. E, spesso, necessario.

Il passaggio successivo è: “impegno e fuga”, che suona come un ossimoro, ma credo sia un buon nome per questa fase. In questo stadio, troviamo un terreno solido sotto il nostro impegno. Accettiamo la nostra mente vacillante e umana, e ora sappiamo che sotto di essa c’è qualcosa di affidabile, anche se spesso ne siamo fuori contatto. Guardando indietro, vediamo quanto siamo cambiati da quando abbiamo iniziato la pratica; vediamo anche quanto siamo rimasti gli stessi, ovviamente. Siamo più calmi. Siamo più tranquilli nel nostro spirito e meno inclini a perdere la calma dentro o fuori. Non così solidi o calmi come speravamo di essere, ma ormai abbiamo rinunciato a questa speranza come irrealistica e siamo più capaci di accettare come sono le cose con noi, trovandole buone, o almeno accettabili, con una certa gioia. Così, ci sentiamo pronti a impegnarci nuovamente nella pratica e nella comunità.

In questa fase della pratica, l’impegno può assumere una sola forma: la rinuncia. Non come rifiuto del mondo, ma come abbandono del sé e del proprio programma personale. Cominciamo a vedere con maggiore lucidità che l’io, con i suoi desideri, progetti, aspettative, non ci conduce verso ciò che veramente cerchiamo. Anzi, è proprio quell’agenda personale a generare sofferenza. Quando questa verità si fa più evidente, la resistenza si indebolisce. Diventiamo più disponibili a una pratica profonda, stabile, non più orientata a ottenere qualcosa, ma a lasciar andare. E così, quasi senza averlo deciso, ci accorgiamo che qualcosa è già accaduto: ci siamo impegnati.
Non perché lo abbiamo scelto con la mente, ma perché la vita ci ha portati lì. Non c’è altra via. La rinuncia non è più un gesto eroico, ma naturale.

A quel punto, spesso, la comunità ci chiama.
Ci vengono affidate responsabilità, ruoli, compiti. Facciamo promesse pratiche di restare nel Sangha per un periodo. Se non l’abbiamo già fatto, prendiamo i voti come monaci o Bodhisattva. Ma non come gesto simbolico: lo sentiamo vero, reale. E, forse per la prima volta, ci sentiamo parte della comunità non solo come praticanti, ma anche come custodi.
Ci sentiamo responsabili. Non per dovere, ma per amore.

Da un diario di un praticante immaginario… – Rinuncia silenziosa

“…. Oggi mi è chiaro che, in questo punto del cammino, l’impegno nella pratica non può che prendere la forma della rinuncia.
Non una rinuncia eroica o ascetica, ma qualcosa di più sottile e radicale: un lasciar andare il mio sé e tutto ciò che credevo fosse importante.

Sto vedendo, con una sincerità nuova, che continuare a seguire i miei progetti personali, la mia idea di come dovrebbe andare la pratica, la vita, la comunità… non fa che generare sofferenza. L’agenda dell’io, che per anni ho cercato di portare avanti anche dentro lo zendo, si rivela vuota, stancante, limitata. Eppure, non ho scelto consapevolmente di rinunciare.
È come se, a un certo punto, mi fossi girato indietro e avessi visto che la scelta era già avvenuta. Non c’era altro da fare. Senza proclami, senza grandi decisioni: semplicemente, qualcosa in me ha smesso di resistere. È accaduto. Mi sorprendo a dire “rimarrò”, e a sentire che lo intendo davvero. A breve prenderò i voti da monaco, forse anche oltre, se le cose maturano. Ma non lo vivo come un impegno rigido: è solo la forma naturale di qualcosa che già sta vivendo dentro di me.

Più che un dovere, sento che questa appartenenza è diventata il mio essere.
Non so dove mi porterà tutto questo, ma per ora so solo che non c’è altro posto in cui vorrei essere…”.

Non appena sentiamo di aver trovato una certa stabilità nel nostro impegno, soprattutto quando questo è segnato da un evento significativo, come l’ordinazione o l’ingresso in monastero per un periodo prolungato, qualcosa si muove, profondamente. I demoni della confusione tornano. E non con passi leggeri: arrivano con forza. Vecchi desideri, interessi dimenticati, pulsioni che credevamo risolte o superate… si riaffacciano all’improvviso, spesso con una vitalità inaspettata.

Può succedere che, il giorno prima di partire per un soggiorno indefinito in monastero, ci innamoriamo disperatamente. O che, appena due giorni dopo l’ordinazione, ci sentiamo improvvisamente ubriacati da un senso di libertà perduta, come se avessimo rinunciato a qualcosa di essenziale. Succede… E quando succede, ci coglie di sorpresa. Pensavamo di aver capito. Pensavamo che la decisione, il passo compiuto, ci avesse già trasformati. Ma ci accorgiamo che molte porte del cuore erano ancora chiuse. E proprio l’impegno profondo che ora stiamo assumendo, quell’atto così intimo e radicale, ha il potere di spalancare quelle porte con violenza. Non c’è più modo di nascondere. Quello che troviamo dietro è spesso scioccante. La forza grezza della nostra passione. La potenza nuda del desiderio umano, non ancora visto fino in fondo. Ci sentiamo spogliati, esposti. Umiliati. Scioccati. Sbalorditi…. Ma forse è proprio in questo spaesamento che si apre una possibilità nuova: non quella dell’ideale raggiunto, ma della verità che inizia a mostrarsi, così com’è.

Ci sono momenti in cui il nostro maestro o gli anziani praticanti, con il loro sorriso gentile e la saggezza che il tempo ha coltivato, sembrano osservarci dall’alto della loro esperienza. A seconda di come siamo interiormente, questa presenza può donarci conforto o suscitare irritazione. In questi momenti, può nascere il desiderio di fuggire, di svanire all’improvviso o addirittura di abbandonare tutto e partire; alcuni hanno sperimentato questa sensazione. Tuttavia, spesso la vera fuga si verifica dentro di noi, in quel conflitto interno che ci occupa profondamente più di qualsiasi abbandono fisico del mondo. Negli sguardi degli altri riconosciamo una determinazione che si mescola con un’innocenza pura, anche se sono persone di mezza età. La forza e l’intensità di queste emozioni ci riportano al punto di partenza, come se quasi non avessimo più un’identità definita. Questo momento ci invita a rigenerare e rinnovare la nostra identità. Ci sentiamo come bambini o neonati, un’esperienza al contempo meravigliosa e difficile da accettare, perché credevamo di essere già maturi e di aver fatto progressi. Eppure, il tempo svolge il suo ruolo: con il passare dei giorni, le cose si chiariscono e il nuovo cammino si disegna più nettamente, permettendo il nostro sviluppo. Lentamente superiamo l’incertezza iniziale, adattandoci al nostro nuovo ruolo. Ricostruiamo le nostre vite, abbracciando nuove pratiche e modalità di apprendimento. I legami con il dharma si approfondiscono, le illusioni si dissolvono e lasciamo andare le aspirazioni che non contribuiscono al nostro cammino. Il tempo scorre, e noi con lui prendiamo il nostro posto nel suo fluire.

Ma non conosciamo ancora le vere prove che ci aspettano dietro l’angolo…..

(Prosegue nel prossimo Blog)

Nel Dharma

Tetsugen Serra

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