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LA MIA ESPERIENZA DEL NON PENSARE

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LA MIA ESPERIENZA DEL NON PENSARE

Pensare nel non pensare

Pensare è molto affascinante per la mente, non so se gli uomini primitivi pensavano o avevano altri modi di relazionarsi con la realtà esterna e con le proprie sensazioni. Utilizzando una tecnologia di imaging cerebrale altamente avanzata per osservare gli esseri umani moderni che costruiscono strumenti antichi, ora si ritiene che modi di pensare simili a quelli umani possano essere emersi già 1,8 milioni di anni fa, afferma Shelby S. Putt, ricercatore post-dottorato presso l’Istituto dell’età della pietra dell’Università dell’Indiana e primo autore dello studio sulla rivista Nature Human Behavior.

Certamente pensare richiede un linguaggio codificato, ognuno di noi pensa inizialmente nella sua madre lingua appresa e codificata dalla mente per interpretare la realtà, e produce pensieri tutto il giorno e la notte. Ma pensare chiaramente è difficile, e soprattutto a nessuno di noi viene davvero insegnato come farlo. La scienza, la filosofia, la psicologia hanno  bisogno di un pensiero chiaro e gli scienziati devono costruire argomentazioni logiche, pensare in modo critico, porre domande imbarazzanti e trovare i difetti nelle argomentazioni di altre persone, ma in qualche modo dovremmo fare tutto questo con un po’ di addestramento mentale preliminare. Certamente le lezioni a scuola e neanche all’università non iniziano con una sessione sul calmare la mente. Forse questo non ha importanza per chi insegna, ma per chi deve apprendere e quindi anche imparare a pensare dovrebbe essere importante e molto interessato a predisporre la mente al pensiero…

Se sei intelligente e veloce è possibile respingere i pensieri indesiderati per un po’, e fare grandi salti intellettuali o eseguire scrupolosi esperimenti, anche con una mente disordinata, ma alcune domande richiedono un diverso approccio. Tra queste ci sono quelle domande che chiedono dell’ovvio: “Cos’è questo?” Dov’è questo?’; o quelle più impegnative su sé stessi come “Chi sta facendo la domanda?” “perché mi faccio sempre tante domande”. Poi un giorno incontri le domande zen dei Koan e il tuo pensiero semplice, razionale viene stravolto, o fuggi o inizi la rivoluzione del pensiero.

Lo Zazen shikantaza o koan sembra che richiedano sia la capacità di pensare che la capacità di astenersi dal pensare, una vera rivoluzione per la nostra mente ordinaria. Richiedono l’arte di esplorare la coscienza più che il pensiero. Astenersi dal pensare è precisamente l’abilità che viene insegnata in molte meditazioni. In molte tradizioni il pensare troppo è scoraggiato, e con buona ragione, perché le persone spesso afferrano le idee intellettualmente ma non riescono a metterli in pratica. Potrebbero capire un concetto difficile, ma non cambiare il loro modo di vedere il mondo. Così per ad esempio, alcuni insegnanti buddisti spesso redarguiscono i loro studenti per aver pensato troppo. Ma lo zen come uno studente ribelle ..è diverso.

D’altra parte, usare la meditazione per pensare non è del tutto sconosciuto nella pratica buddista, è chiaro che il Buddha stesso era un profondo pensatore. In ogni caso, l’obiettivo-non obiettivo del praticante zen quale: trascendere la sofferenza o raggiungere illuminazione, ha bisogno di non discriminare su nulla e combinare il pensiero con il non-pensiero.  Io nella mia gioventù ho esplorato molti mondi alternativi, punti di vista dalla alchimia, alla teosofia ala teoria dei chakra, ma nonostante il loro fascino, si sono tutti dimostrati   insoddisfacenti per me. Hanno fornito risposte, va bene, ma le risposte erano dogmatiche e spesso confuse; non superavano una profonda riflessione del pensiero. Peggio ancora, le loro dottrine non sono cambiate in risposta al cambiamento, ma rimase rigidamente dipendenti dai libri antichi o dalle affermazioni dei loro fautori,  finché non mi sono imbattuto nello Zen. E li ero incoraggiato ad avere “Grandi dubbi” su tutto a “Indagare!” e mi si insegnava come farlo. Lo Zen come tutti sappiamo pone molta meno enfasi sulla teoria e sullo studio dei testi rispetto ad altri rami del buddismo, e molto di più sulla pratica della particolare “meditazione” zazen per realizzare un’esperienza diretta della propria Natura Originaria.

lo Zen ha fatto appello ad accademici, filosofi e altri pensatori che apprezzano i suoi strani paradossi, lo Zen richiede che tu faccia domande, applichi metodi di indagine disciplinati a rovesciare tutte le idee che non si adattano con quello che scopri. In effetti lo Zen è proprio come la scienza nell’essere di più un insieme di tecniche piuttosto che un corpo di dogmi. Lo Zen ha le sue dottrine come la scienza le sue teorie ma in entrambi i casi si tratta di tentativi temporanei per comprendere l’universo, in attesa di un’indagine più approfondita e oltre la scoperta. Lo Zen non richiede che tu creda o abbia fede cieca in un pensiero, ma che ti sforzi di scoprire tutto da solo usando il tuo pensiero e non-pensiero.

Lo zen pone il tipo di domande che riguardano la stessa mente che pone la domanda. Se vuoi scoprire la verità sull’universo, sull’essere umano e il mondo che lo circonda, o sul genoma l’umano o l’efficacia dell’illuminazione le personali convinzioni sono un ostacolo, non un aiuto. Tuttavia, questo potrebbe non essere vero per tutte le domande. Si tratta di imparare cosa lasciare e cosa non lasciare del nostro vecchio pensare e penso che la risposta sia la ricerca a tentoni di un delicato equilibrio. L’equilibrio fra quanto portare con noi e quanto lasciare a casa nella nostra pratica. Quanto portiamo con noi ci permette di sapere cosa aspettarci il nostro conosciuto….. Per comportarci nella vita ci servono le equazioni di comportamento che conosciamo.. la nostra conoscenza i nostri valori.. Queste sono le mappe, le regole, le generalità, cui diamo fiducia perché hanno funzionato bene o spesso male ma ci rassicura la loro conoscenza, che viene dalla nostra educazione, cultura interazione con gli altri. E nello stesso tempo sappiamo che qualcosa dobbiamo lasciare a casa…. Se lasciamo a casa troppe cose non abbiamo strumenti per andare avanti, ci spaventiamo… ma se ce ne portiamo troppe non troviamo i varchi per capire prima e realizzare poi…… Non penso ci siano ricette, se non tentativi e errori. Provando e riprovando praticando e praticando, questo è l’Amore per la pratica per la conoscenza di noi stessi..

In questo cammino Combiniamo e ricombiniamo in maniere diverse quello che sappiamo, cercando una combinazione che chiarisca qualcosa. Se impicciano nella nostra pratica, lasciamo fuori pezzi che prima sembravano essenziali. Azzardiamo, con cautela. Frequentiamo il bordo del nostro sapere del nostro io e ego. Ci familiarizziamo con esso, lo frequentiamo a lungo, avanti e indietro, cerchiamo varchi a tentoni. Proviamo concetti nuovi, Buddhisti.. Zen… nuove combinazioni con il nostro conosciuto.

Con la pratica diventiamo consapevoli che i nostri nuovi concetti sono in realtà sempre presi da concetti vecchi, riadattati, modificati.  In matematica sin da piccoli ci hanno insegnato che Cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia… ce lo anno insegnato, ma lo abbiamo capito?…   

Pensiamo sempre solo con le stesse equazioni riutilizzate in un altro contesto preservando qualcosa del vecchio e lasciando perdere qualcos’altro, ma il nostro pensare non cambia o se cambia il pensiero poi però andiamo sempre nella stessa direzione.

Calmare la mente per cambiare la mente

Ma le menti tendono a non essere calme. In effetti tendono a correre, piene di pensieri sovrapposti, spinti qua e là da risposte emotive, irritate da melodie che girano e rigirano, e generalmente velocemente da una cosa all’altra. Non è possibile affrontare qualsiasi questione con fermezza e profondità con una mente in subbuglio. Come, allora, può la mente essere calmata? La meditazione è la risposta ovvia, ed è il metodo che usiamo. Imparare a meditare significa nient’altro che imparare a stare fermo e prestare attenzione, rimanendo rilassato e vigile, senza ingarbugliarsi in pensieri, emozioni o conversazioni interiori. Io ho imparato a meditare in parte per curiosità esplorativa, e in parte perché ero spinto dal dolore e dalla confusione della vita, e ho pensato che la meditazione potesse aiutare. Più tardi ho scoperto che nello Zen ci sono pratiche per allenare la mente a guardare attentamente consapevolmente e anche sviluppare la capacità  di attenersi fermamente alle domande che ci si pone, invece di vagare nell’universo dei pensieri; domande difficili che la vita ci pone in continuazione e che vagano senza risposta sino a quando non impariamo a stare sul pezzo…. Veramente un’arte, acquisita con la pratica, lo Zen metodo di indagine di un nuovo pensare.

Da studente, alla fine degli anni ’70, ho imparato la pratica della meditazione chiamato ‘Zazen’, descritto come ‘semplicemente seduto’. Ho pensato che stando fermo, vigile e rilassato, e non fare nulla sarebbe stato facile, ma invece io imparato quanto sia difficile. Volevo continuare a provare ma, come molte persone, non sono riuscito a prendere una regolare abitudine alla meditazione. Poi nei primi anni 80’ sono andato ai miei primi ritiri Sesshin e tutto è iniziato a cambiare.

Meditavamo per molte ore ogni giorno, in sessioni di mezz’ora con brevi pause intermedie, rannicchiato in me stesso. Pensavo “faccio e ottengo” me lo aspettavo, con un’intera settimana di pratica, la meditazione sarebbe diventata facile e io avrei fatto rapidamente progressi, trasformato in una persona superiore o addirittura illuminato. Invece, le lunghe ore di seduta hanno messo in luce l’orribile confusione nella mia mente; le visioni, le paure, la rabbia e il risentimento, il senso di colpa, le preoccupazioni e perplessità. Ora ho capito la necessità di una mente calma. Mi è stato detto che calmare la mente è il punto di partenza di tutta la meditazione, ma è anche necessaria per portarti fino in fondo. Mi hanno detto cose ancora più spaventose; che quello che stavo cercando era qui in questo momento, che non c’è davvero niente da fare e lottare per… e che una volta arrivato mi  sarei reso conto che non c’era nessun posto dove andare in primo luogo; che per quanto tu lavori duramente, e devi lavorare sodo, alla fine saprai che non c’è niente da fare: niente che debba essere fatto. Per spiegare più chiaramente il metodo Zen, il mio maestro era solito dire “Lascia fare”. Venire. Lascia fare. Lascia andare il pensiero. Questo significa approssimativamente, quando qualche idea o sentimenti o problemi si presentano durante la meditazione, non combatterli, non interagire con loro, non spingerli via o aggrapparti a loro, vai e basta attraverso questo stesso processo gentile ancora e ancora: lasciali sorgere dentro la mente, lascia che siano ciò che sono senza elaborazione. Quindi non ti causano problemi e la mente rimane ferma, per quanto belli o orribili siano i pensieri. Prestare attenzione e lasciarsi andare sembra così semplice e così facile. Esso non è né l’uno né l’altro, come ho scoperto rapidamente. Ora dopo ora noi partecipanti al ritiro sedevamo lì sui nostri cuscini cercando di calmare la mente; lasciar andare e prestare attenzione. Ancora e ancora la mia mente scivolava su pensieri sul passato o futuro; a conversazioni immaginarie con altre persone; a rincorrere qualcosa che avevo fatto per farlo sembrare migliore; alla pianificazione come fare ammenda per azioni per le quali mi sono sentito male. ‘Lasciarlo andare …’. Ancora e ancora, scivolavo nel dormiveglia e nelle crepe nel l’intonaco sull’antico muro di fronte a me; ancora ed ancora, ancora e ancora. ‘Lascia fare …’. Un giorno il mio maestro mi disse: “Ricorda lì…”. siete solo tu e il muro.’ Non ho mai più lavorato con tanta intensità come in tutti quegli anni, ma ho praticato la consapevolezza a fasi alterne e continuo a farlo meditando ogni giorno. Come la consapevolezza, le abilità di meditazione possono essere facilmente perse o sepolte se non c’è costanza. Quindi è importante continuare a esercitarsi se vuoi fare domande con una mente chiara e calma. Quasi tutti quelli che meditano regolarmente dicono di avere avuto difficoltà a stabilirsi una regolare pratica quotidiana. Per me è stato l’incontro con la consapevolezza che lo ha reso possibile. La cosa più importante è non aspettarsi troppo da te stesso lasciare ogni aspettativa ma essere determinati e costanti che sembra proprio l’opposto.

Ma allora come fare in modo che la nuova combinazione del vecchio pensare con il nuovo, in questo caso la pratica zen, produca significati nuovi ed efficaci.

Come fare perché questo ci porti un poco fuori dal nostro sonnambulismo abituale, faccia ripartire la gioia di vedere qualcosa di nuovo nel mondo, di essere qualcosa di nuovo, di vero di amore.

È possibile trovare il nuovo dentro di noi anche a partire da cose che sappiamo già, facendo leva sui dettagli che non tornano. L’anello che non tiene nella nostra vita… il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità. Gli indizi che ci suggeriscono come ripensare. È la capacità di cambiare, l’organizzazione del nostro nuovo sentire in confronto al vecchio dei nostri pensieri che ci permette salti in avanti.

Cambiare l’ordine del sentire e pensare la nostra vita non è facile, noi dividiamo tutto in mi conviene o non mi conviene, se questo può andare bene per affrontare una parte della nostra quotidianità… questo è limitato per capire veramente noi stessi. Molte di quelle convenienze che ci fanno prendere decisioni a favore, non sono veramente nostre, sono condizionamenti con cui siamo cresciuti e pensiamo non possiamo andare oltre, ma è possibile fare un passo più in là, o indietro, e osservare quanto di quel pensare e delle decisioni che ne derivano sono veramente nostre. Lo zazen ti da questa chiarezza, la reattività dei pensieri si abbassa esplori i bordi del tuo io e puoi avere una maggior visione un sentire più profondo di tutta la tua vita e riconoscere quello che veramente ti appartiene.

Cosa dobbiamo lasciare a casa e cosa dobbiamo portare con noi, dei nostri vecchi pensieri per essere abbastanza leggeri da attraversare lo specchio di Alice? Per entrare veramente in contatto con noi stessi con il nostro essere Originario il nostro Buddha interiore? La pratica costante lo rivela.

UBI
Monastreo ZEN
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