Scopri la Tua Vocazione: La Gioia di Dire Sì alla Vita
La voce del Maestro
“La tua vocazione non è qualcosa che decidono gli altri”
Nel mio blog precedente, “AI e Deepfake: Possiamo ancora fidarci del nostro io?”, riflettevo su quante illusioni costruiamo ogni giorno: su chi siamo, su chi dovremmo essere, sugli altri. Maschere emotive, ruoli, reazioni automatiche. Storie che ci raccontiamo per restare a galla. E mi chiedevo: quanto di tutto ciò corrisponde alla verità?
Forse, il più grande deepfake non è quello generato da un algoritmo, ma l’immagine distorta che viviamo di noi stessi.
Da questa domanda ne nasce un’altra, ancora più essenziale:
Cosa accadrebbe se smettessimo di crederci? Se iniziassimo ad ascoltare la voce più profonda e silenziosa dentro di noi? È qui che entra in gioco la vocazione, non come mestiere o ambizione, ma come chiamata a essere ciò che siamo davvero.
Viviamo in un tempo in cui molti cercano il successo, il riconoscimento, il consenso. Eppure, quanti vivono davvero in accordo con il proprio sentire interiore, con quella chiamata silenziosa che dà senso e gioia alla vita? Come maestro buddhista, spesso incontro persone che hanno costruito esistenze ordinate, rispettabili, ma profondamente separate dal loro cuore. Come se avessero perso il sentiero della gioia di vivere. La vocazione, nel suo senso più profondo, non è un ruolo, né un mestiere, né un titolo. È la risposta viva a ciò che siamo. È dire “sì” alla nostra vera esistenza. È la nostra forma unica e irripetibile di portare vita nel mondo. Nel buddhismo troviamo una visione molto simile: ogni essere è una manifestazione del Dharma, parola sanscrita che indica la verità profonda delle cose, che sostiene e guida l’esistenza. Ogni forma di vita, in questa prospettiva, è espressione unica di quella verità, un frammento vivente del senso più vasto dell’essere. Vivere la propria vocazione significa allora realizzare pienamente il proprio Dharma, ovvero esprimere nel mondo la verità di ciò che si è, in armonia con il tutto, ognuno con il suo insegnamento unico da offrire al mondo. La vocazione è proprio questo: la nostra voce irripetibile nel grande coro dell’esistenza a favore di tutti gli esseri.
Persi in vite che non ci appartengono
Quante persone vivono vite che non sono le loro?
Impiegati che sentono l’anima spenta ogni mattina. Manager che portano a termine progetti grandiosi, ma si sentono vuoti dentro. Persone che hanno studiato, lavorato, obbedito… e poi un giorno si chiedono: “Ma tutto questo, è davvero mio?” Questo scollamento tra ciò che siamo e ciò che facciamo è molto più comune di quanto si creda. Lo riconosciamo in chi ha un dono per la pittura, ma passa le sue giornate in banca. In chi scrive poesie o romanzi di notte, mentre di giorno è chiuso in un ufficio assicurativo. In chi sente la spinta profonda ad aiutare gli altri in una ONG, ma resta bloccato in un lavoro che non parla al cuore. In chi sogna una famiglia numerosa, momenti semplici come giocare con i figli, ma si ritrova in una vita che va da tutt’altra parte.
Eppure, accanto a queste storie, ci sono anche quelle di chi, pur svolgendo mestieri lontani dalla propria aspirazione, non ha mai tradito quella voce interiore. L’ha custodita, magari in silenzio, trovando il modo, poi, di farla vivere comunque. Gauguin, agente di cambio, diventò pittore. Emily Dickinson, casalinga silenziosa, scriveva versi che toccano ancora il cuore. Einstein, tecnico all’ufficio brevetti, pensava l’universo. Kafka, assicuratore, dava voce all’alienazione moderna. Cechov, medico, raccontava l’anima russa nei suoi racconti. Nessuno di loro attendeva il permesso del mondo per esprimere il proprio essere. Vivevano la loro vocazione nonostante la vita esteriore.
Penso che la vera libertà non dipende dalle condizioni esterne, ma dalla nostra capacità di vivere secondo ciò che siamo realmente. Anche in mezzo alla sofferenza o alla monotonia, si può restare fedeli al proprio cuore.
Educare alla vocazione, non al successo
Troppo spesso, la società ci educa a diventare, non a Essere. Ci educa al dovere, all’adattamento, al risultato. Ma la vera educazione è educare alla gioia di essere, che nasce dalla vocazione. Natalia Ginzburg scrive:
“L’amore alla vita genera amore alla vita.”
E aggiunge: se non abbiamo una nostra vocazione, finiamo per pretendere che i nostri figli realizzino quella che noi abbiamo abbandonato. Li soffochiamo, non li lasciamo germogliare. Anche nel buddhismo zen, il compito del maestro non è trasmettere nozioni, ma aiutare ogni allievo a trovare il proprio volto autentico, il proprio cammino unico.
Lo Zen ci invita a riconoscere che il presente, la realtà “qui-ora”, contiene tutta la profondità dell’essere. Non serve attendere o rimpiangere il “prima” o il “poi”, ciascuno è pienamente “quello che è”. La “vocazione” non è solo qualcosa che diventeremo in futuro o che dobbiamo costruire. È la nostra autenticità nel momento presente, la voce interiore che già sappiamo di essere. Lo Zen ci ricorda che non è necessario pensare prima ero questo, poi sarò quell’altro, ma riconoscere che “sono ciò che sono” ora, e che questa realtà ha già senso e pienezza ha solo bisogno di aria. Se riconosciamo la nostra vocazione come “essere pienamente ciò che siamo in questo momento”, allora siamo già “vocati”, chiamati, nella nostra realtà attuale. Dobbiamo solo avere il coraggio di viverla.
Questa consapevolezza porta gioia e liberazione. Nella pratica spirituale, riconosciamo la gioia di essere noi stessi, non come piacere superficiale, ma come segno della Via. Quando ciò che facciamo ci nutre, quando ci sentiamo vivi, quando la giornata termina e possiamo dire: “È stato bello esserci”, allora siamo vicini alla nostra vocazione. Agire senza forzatura, senza copione, senza bisogno di essere applauditi. La vocazione non ci redime dalla sofferenza, ma ci restituisce a noi stessi perché quella è la nostra forma, la nostra verità.
Nessuno è senza vocazione

Non esistono persone senza vocazione. Esistono solo persone a cui è stato detto di non averne una. Persone cresciute nella paura, nella necessità, nella rassegnazione. Persone che hanno fatto ciò che tutti facevano, magando realizzando grandi imprese, ma inseguendo modelli vuoti. Persone che, per mancanza di fiducia, hanno smesso di cercare. Eppure, la vocazione non si cancella. Può restare sepolta, ma non muore. È come una brace sotto la cenere. Basta un soffio di coraggio, di silenzio, di consapevolezza, e la fiamma torna a brillare. Se ti senti lontano dalla tua vocazione, non disperare. Non è mai troppo tardi. Non serve cambiare tutto: basta cominciare a dire qualche piccolo “sì” a ciò che senti davvero.
Ogni giorno, nella meditazione, nella vita semplice, nella consapevolezza, possiamo ascoltare la nostra voce interiore e ritornare a noi.

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