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Stella del mattino

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Stella del mattino

Trascrizione dell’Insegnamento a cura di Jacopo Daie Milani

Abbiamo praticato tutti questi giorni, con chi ha avuto la fortuna, la costanza e la capacità di essere qui per cinque giorni che sono stati sicuramente piuttosto intensi.
Oggi, 8 dicembre, celebriamo il giorno della realizzazione di Shakyamuni Buddha con le ordinazioni sia laiche che monastiche. E naturalmente con la lettura del risveglio di Siddharta Gautama, chiamato lo Shakyamuni, o il Buddha, tratta dalla Vita di Siddhartha il Buddha di Thich Nhat Hanh.
Questo testo, ricostruito in base dei testi canonici sia pali che cinesi, racconta della vita e delle gesta  del Buddha. In alcune parti è veramente toccante, come in questo brano, nel quale il Buddha si risveglia alla sua vera natura sotto la stella del mattino.

Grazie alla presenza mentale la mente, il corpo e il respiro di Siddhartha erano perfettamente unificati. 
La pratica della presenza mentale lo aveva reso capace di sviluppare grandi poteri di concentrazione che ora poteva usare per illuminare di consapevolezza corpo e mente.
Entrato in meditazione profonda, iniziò a percepire la presenza di infiniti altri esseri nel momento presente, entro il suo stesso corpo.
Esseri organici e inorganici, minerali, muschi ed erbe, insetti animali e persone, tutti erano lui.
Vide che gli altri, in quel preciso momento, erano lui stesso.
Vide le proprie vite passate, con tutte le loro nascite e le loro morti.
Assistette alla creazione e alla distruzione di migliaia di mondi e migliaia di stelle.
Provò le gioie e le pene di tutti gli esseri viventi, di quelli nati da grembo, nati da uovo e nati dalla scissione, dividendosi in due creature nuove.
Vide che ogni cellula del proprio corpo conteneva tutto ciò che è nel cielo e nella terra, abbracciando insieme il passato, il presente e il futuro.
Era la prima veglia della notte.

Gautama si calò ancora più profondamente nella meditazione.
Vide come innumerevoli mondi nascono e muoiono, come vengono creati e distrutti.
Vide gli esseri innumerevoli passare attraverso nascite e morti incalcolabili.
Vide che le nascite e le morti non sono che apparenza e non la realtà, così come milioni di onde si alzano senza posa sulla superficie dell’oceano e vi sprofondano, mentre l’oceano è al di là della nascita e della morte.
Se le onde potessero comprendere di essere anch’esse acqua, trascenderebbero la vita e la morte e raggiungerebbero la pace interiore, superando tutte le paure.
Tale comprensione gli consenti di trascendere la rete della nascita e della morte.
E Gautama sorrise. 
Il suo sorriso era simile a un fiore schiuso nell’oscurità della notte, irradiando un alone di luce.
Era il sorriso di una comprensione meravigliosa, la visione della distruzione di ogni contaminazione. 
Era la seconda veglia.

In quel preciso momento si udì un tuono, mentre lampi di luce guizzavano come squarci nel cielo. Nuvole nere nascosero la luna e le stelle, e cadde la pioggia.
L’acqua inzuppava Gautama che non si mosse, perseverando nella meditazione.
Senza vacillare, illuminò di consapevolezza la propria mente. 
Vide che gli esseri viventi soffrono perché non comprendono che partecipano della stessa natura di tutti gli esseri.
L’ignoranza genera un’infinità di pene. Confusione, difficoltà, avidità, ira, arroganza, dubbio, gelosia e paura, affondano tutti le radici nell’ignoranza.
Imparando a calmare la mente per vedere più a fondo nella natura delle cose, possiamo giungere alla comprensione globale che dissolve ogni ansia e ogni dolore, sostituendoli con l’accettazione e l’amore.
Gautama vide che compassione e amore sono un’unica cosa.  Senza la comprensione non si può sviluppare la compassione e l’amore.
Il carattere degli uomini è prodotto di condizioni fisiche, emotive e sociali. Questa comprensione ci impedisce di odiare persino chi agisce crudelmente e ci spinge a fare qualcosa per cambiare quelle condizioni.

La comprensione originaria dà adito alla compassione e all’amore, i quali, all’ora volta, determinano il giusto agire.
Per poter amare bisogna prima comprendere, ed ecco che la comprensione si rivela la chiave della liberazione della compassione e dell’amore, in diretto contatto con la vita nel momento presente e con la realtà di quanto avviene dentro e fuori di noi stessi.
La pratica della consapevolezza rafforza la capacità di guardare in profondità.
Questo è il tesoro segreto della presenza mentale.
Siddartha lo chiamò arya marga, o il nobile sentiero.
Egli aggiunse lo stato della vista acuta, dell’udito acuto e la capacità di percorrere infinite distanze.
Per Gautama fu come se la prigione che lo racchiudeva da migliaia di esistenze fosse crollata.
Il carceriere era l’ignoranza della mente: solo l’ignoranza aveva oscurato la sua mente così come le nuvole avevano nascosto la luna e le stelle.
Belata da onde infinite di pensieri illusori, la mente aveva diviso in maniera fallace la realtà in soggetto e oggetto.
Io e altri, esistenza e non esistenza, nascita e morte.
Da tali discriminazioni erano sorte le visioni errate, le prigioni delle sensazioni del desiderio dell’attaccamento, la sofferenza della nascita, della vecchiaia, della malattia e della morte.
Non fa altro che rendere le mura più spesse.
L’unica cosa da fare era acciuffare il carceriere, la mente, e guardarla in faccia.
Una volta scomparso il carceriere, anche le prigioni svaniscono per non venire mai più ricostruite.
Sorridendo, l’eremita Gautama sussurrò tra sé: “Carceriere, ora ti conosco! Per quante esistenze mi hai tenuto prigioniero! Ora vedo il tuo vero volto e d’ora in avanti non potrai più costruire altre prigioni attorno a me!”.
Siddartha alzò gli occhi. La stella del mattino si levava all’orizzonte, vivida come un diamante.
Quante volte l’aveva guardata sedendo sotto quell’albero! Ma, in quel momento, era come se la vedesse per la prima volta. Aveva lo stesso bagliore, lo stesso sorriso trionfante dell’illuminazione.
Siddartha, guardò la stella del mattino e, colmo di compassione, esclamò:
“Tutti gli esseri, hanno in sé i semi dell’illuminazione, eppure affoghiamo nell’oceano di sofferenza per migliaia e migliaia di esistenze”.
Siddartha capì di aver trovato la Grande Via. 
Aveva raggiunto lo scopo. Il suo cuore era in pace e in perfetto benessere, e ripensò agli anni di ricerca colmi di delusioni e fatiche.
Ripensò al padre, alla madre, alla zia, a Yasodhara, a Rahula e agli amici. Rivide il palazzo di Kapilavastu, il suo popolo, il suo paese e tutti coloro che vivevano fra gli stenti e la povertà, specialmente i bambini.
Si ripromise di trovare il modo per comunicare quanto aveva scoperto e aiutare coloro che vivevano fra gli stenti a liberarsi dalla sofferenza.
Dalla sua profonda conoscenza era nato un immenso amore per tutti gli esseri. Lungo il fiume, fiori da vivaci colori si aprivano ai primi raggi del sole.Il sole danzava tra le foglie e scintillava sull’acqua. La sofferenza di Siddhartha era svanita e si rivelava la meraviglia della vita.
Tutto assumeva un aspetto nuovo. Che meraviglia i cieli azzurri e le nuvole bianche! Gli parve che lui e l’intero universo fossero stati appena creati.

UBI
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