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Una spiritualità “razionale”: lo Zen ?

La voce del Maestro
Una spiritualità “razionale”: lo Zen ?

È curioso come, in un’epoca in cui cerchiamo soluzioni complesse per problemi complessi, la risposta arrivi da un gesto tanto semplice: stare seduti; meditare. Come direbbe un antico maestro, “Quando hai fretta, siediti”. Le neuroscienze confermano ciò che l’esperienza suggerisce: quando ci fermiamo, il cervello trova un ritmo nuovo, più lento, più umano. I pensieri diventano più docili, le emozioni meno tempestose. Il mondo non smette di correre, ma noi smettiamo di correre dietro a tutto.

La meditazione diventa una porta. Una porta che non porta altrove, ma che ci riporta qui. 

Forse, senza nemmeno accorgercene, Oggi cerchiamo una Via “razionale” alla spiritualità, se vogliamo chiamarla così. È curioso: più il nostro mondo diventa complesso e illuminato dalla scienza, più diventa difficile abbracciare ciò che non può essere spiegato. Viviamo in un’epoca in cui abbiamo imparato a misurare quasi tutto, a fidarci solo di ciò che possiamo verificare, vedere, comprendere. Così anche il sacro, nell’orizzonte contemporaneo, chiede una nuova lingua per poter essere ascoltato. Non ci accontentiamo più di verità consegnate dall’alto: vogliamo capire come funzionano, perché funzionano, in che modo toccano la nostra esperienza quotidiana. Una celebre frase Zen dice: “Non credere alle parole del Buddha: guarda dentro di te”. È quasi un manifesto di spiritualità laica ante litteram.

Allo stesso tempo, però, la scienza non risponde a tutto. Non colma la solitudine, non placa l’ansia, non dà un senso all’esperienza quotidiana. Così nasce la ricerca di una spiritualità che sia allo stesso tempo profonda e credibile, esperienziale e coerente con ciò che oggi sappiamo sulla mente. Una spiritualità che non chieda di sospendere il pensiero critico, ma lo integri. 

Lo Zen si colloca in un punto molto particolare rispetto ad altre tradizioni, anche buddhiste, che tentano lo stesso dialogo con la scienza e che stanno cercando da tempo un terreno comune con la psicologia e le neuroscienze. Lo Zen ha una caratteristica che lo distingue immediatamente: è una spiritualità senza sovrastrutture. Non parla di Buddha da venerare, non richiede credo, non racconta miti da accettare, karma o vite future da reincarnare. La sua essenza è pratica, concreta, essenziale. La meditazione non è un rituale sacro, ma un’attività che coinvolge il corpo, il respiro, l’attenzione. È talmente sobria che può essere studiata scientificamente senza tradirne lo spirito. Non c’è nulla da credere: c’è solo da sedersi ed essere. Come diceva Dōgen: “Zazen non serve a nulla, ed è proprio per questo che è perfetto”

Inoltre, mentre altre tradizioni spirituali cercano la verità in un aldilà, lo Zen la cerca nell’adesso. Non parla di salvezza futura, ma di presenza. Non promette paradisi, ma propone una relazione diversa con ciò che già esiste. Un antico koan recita: “La verità è davanti ai tuoi occhi, perché la cerchi altrove?” Questa concretezza è profondamente moderna: è una spiritualità che vive nello stesso tempo della scienza, che non la teme, non la contraddice e, spesso, la anticipa.

Proprio per questo lo Zen è percepito come una delle forme di spiritualità più vicine alla razionalità contemporanea. Non pretende di spiegare l’universo, nessuna cosmogonia, invita ad ascoltare sé stessi, e soprattutto, non chiede di rinunciare al pensiero critico. Lo Zen non offre risposte assolute, o modelli, ma una postura: quella di chi guarda il mondo con occhi aperti, mente presente e cuore tranquillo.
Da questo punto di vista, parlare di “compatibilità” tra scienza e Zen è legittimo, e forse anche naturale.

Ma… la compatibilità si complica quando lo Zen afferma di essere privo di contraddizioni con la scienza “in assoluto”. In realtà, lo Zen porta con sé una visione del mondo che non è scientifica nel senso moderno del termine. Non perché sia irrazionale, ma perché si muove su un piano diverso: quello dell’esperienza immediata e non duale, dove il linguaggio si dissolve, dove il sé si scopre illusorio, dove la realtà non viene descritta ma attraversata. “La luna non è la parola ‘luna’”, ricordano i maestri zen.

La scienza, per sua natura, si fonda su misurazioni, ipotesi, linguaggio, definizioni. Lo Zen, paradossalmente, mira a trascenderli. La scienza cerca regolarità; lo Zen cerca libertà. La scienza costruisce mappe; lo Zen invita a gettare via le mappe per vedere direttamente il territorio.

Da questo punto di vista, dire che siano “compatibili” rischia di essere una semplificazione, utile per comunicare al pubblico occidentale, ma non del tutto accurata. È più appropriato dire che non sono in conflitto, ma non che coincidono. La scienza può descrivere gli effetti della meditazione, può mostrarci come il cervello si modifichi durante la pratica, come le reti neurali si stabilizzino, come lo stress diminuisca, come l’attenzione e la regolazione emotiva migliorino. Questa conoscenza è preziosissima: non solo per la salute psicofisica del meditante, ma anche per la società, perché diffonde strumenti concreti di benessere.

Eppure… 

lo Zen è compatibile con la scienza finché parliamo di pratica, effetti psicologici, neuroscienze, regolazione emotiva, ma tutto ciò resta limitato. La neuroscienza può osservare i processi cerebrali, ma non può catturare la profondità di ciò che lo Zen propone: la trasformazione del modo in cui viviamo il mondo, il riconoscimento della vacuità del sé, la comprensione immediata della realtà così com’è. La mente può essere misurata, le emozioni regolate, ma l’esperienza diretta dell’illuminazione, del Satori, della non dualità resta oltre ogni strumento di misurazione.

Quindi la considerazione potrebbe essere duplice: Si, esiste una forte compatibilità “pragmatica”, empirica, fenomenologica con la scienza e le moderne psicologie. No, la compatibilità totale è più uno slogan che una verità, utile alla diffusione culturale ma insufficiente a descrivere la complessità dello Zen.

In fondo, non c’è bisogno che siano compatibili. Forse il punto più importante è che lo Zen non ha mai cercato di essere scientifico. Non nasce per spiegare il mondo, ma per trasformare il modo in cui lo viviamo. La scienza osserva; lo Zen attraversa. La scienza misura; lo Zen libera.

Eppure, proprio perché si muovono su piani diversi, non si ostacolano. Possono dialogare, illuminarsi a vicenda, senza doversi fondere in un unico sistema. La loro verità non sta nell’essere identici, ma nell’essere complementari.Quando il rumore diventa insopportabile, il silenzio non è più un lusso: è un rifugio.
Quando tutto ci trascina via, la presenza diventa un’ancora.
E quando ci sembra di non riconoscerci più, la meditazione ci riporta al luogo in cui siamo sempre stati: qui, ora, nel cuore vivo della nostra stessa esistenza.

UBI
Monastreo ZEN
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