Loading...
Home La Voce del Maestro Essere ascoltati, essere veri. Cassandra e lo Zen: un dialogo tra urgenza e silenzio.

Essere ascoltati, essere veri. Cassandra e lo Zen: un dialogo tra urgenza e silenzio.

La voce del Maestro
Essere ascoltati, essere veri. Cassandra e lo Zen: un dialogo tra urgenza e silenzio.

A volte, accade di sentire dentro di sé una verità che non si può più ignorare.
Non è frutto del pensiero, ma qualcosa che si è rivelato in silenzio, nella profondità dell’esperienza.             E quando provi a condividerla, persino con te stesso, scopri che non sempre viene accolta. Non perché manchi chiarezza, ma perché ciò che hai da dire mette in discussione le tue certezze, le abitudini, le immagini che hai di te.

Mi sono ritrovato più volte in questa posizione: da una parte la voce che sente, dall’altra un ascolto che non è pronto. Una verità che preme per emergere, ma non trova accoglienza nemmeno in me. Così ho cercato un altro modo di comunicare con me stesso,  più vicino alla presenza che all’urgenza, più al cuore che alla mente.
Questo scritto nasce da lì. Dal bisogno di esplorare una forma di condivisione con sé stessi più profonda, più silenziosa, forse più vera.

Il mito di Cassandra è una delle immagini più potenti del destino di chi porta una verità scomoda nel mondo.
Cassandra, figlia di Priamo, riceve da Apollo il dono della profezia. Ma, per averlo rifiutato, viene maledetta: vedrà la verità, ma nessuno le crederà.
Vede la rovina di Troia, la morte, la distruzione. Ma ogni suo grido cade nel vuoto. Inascoltata, impotente, condannata a conoscere ciò che non può cambiare.  Eppure Cassandra non è solo un personaggio antico. Vive ancora oggi, in ognuno di noi.
In un mondo dominato da narrazioni fragili, difese identitarie e illusioni di controllo, ci capita spesso di essere Cassandra: portatori di una verità che nessuno vuole ascoltare, e allo stesso tempo in quelli di chi rifiuta di ascoltarla.  Il suo destino ci interroga: come si comunica una nostra verità che nessuno vuole sentire? Soprattutto noi. Come si parla della realtà “così com’è”, a noi stessi, senza essere respinti? Cassandra non è solo la voce profetica: è anche il grido inascoltato dentro di noi. Ogni volta che non ascoltiamo ciò che sentiamo profondamente, stiamo ignorando la nostra stessa verità. Il primo nodo che Cassandra ci mostra è che la verità non è neutra. Non lo è mai stata. Una verità profonda non si limita a descrivere: trasforma. Mette in discussione ciò che siamo, ciò in cui crediamo, ciò su cui abbiamo costruito la nostra idea di “io”. È per questo che le parole di Cassandra non vengono credute. Non perché siano confuse o false, ma perché minacciano l’equilibrio precario su cui noi poggiamo la propria identità.

Questo accade dentro di noi: ogni volta che una verità ci sfiora, se è troppo dissonante rispetto alla nostra immagine di noi stessi, il primo impulso è il rifiuto. L’identità che costruiamo è spesso una somma di condizionamenti: traumi non risolti, aspettative familiari, ruoli sociali, idee apprese. Difendiamo questa costruzione come fosse noi stessi. Eppure, più che proteggerci, ci limita.

Ci illudiamo di cercare la felicità, ma spesso, in realtà, cerchiamo solo tranquillità. Una tregua. Un po’ di silenzio nel caos interiore. Così, anziché spingerci verso ciò che veramente sentiamo dentro e ci rende vivi, restiamo nella “bonaccia della mente”, come dicono alcuni maestri zen: uno stato di apparente quiete, in cui ogni vero desiderio di cambiamento viene neutralizzato.

Il problema non è la paura della sofferenza. Spesso ne abbiamo affrontata di peggiore.
È la paura di ascoltare davvero ciò che sentiamo.
Perché la verità interiore ci chiede di abbandonare la zona conosciuta. Anche se ci ferisce, quella zona che ci rassicura. Ci definisce. Chi ascolta, spesso non rifiuta per ostilità. Ma per paura.
Perché ogni verità che arriva, anche da sé stessi, è come un meteorite che può spezzare l’identità che abbiamo faticosamente costruito. Accogliere quella verità richiede amore. Verso sé stessi, nella propria fragilità. Ma la libertà ha un prezzo: la fine di ciò che credevamo di essere. 

Ma il desiderio di verità, autentico, silenzioso, inarrestabile, comincia a bussare. Non chiede conforto. Chiede verità. Chiede vita.

Lo Zen non ti dirà mai chi sei, ma te lo chiederà guardandoti con uno sguardo fermo:
“Chi sei prima del nome, prima del pensiero di essere?”
Oppure: “Che volto avevi prima della nascita dei tuoi genitori?”

Sono domande impossibili per la mente, ma essenziali per il cuore. Esigono presenza, non comprensione.

Allo stesso modo, comunicare al tuo io la verità che senti in te stesso non significa trasmettere informazioni, dati rassicurazioni per una accettazione. Significa essere una domanda vivente, incarnare uno stato di ascolto, di apertura, di non-attaccamento. Una comunicazione autentica non forza, non spiega, non convince. Invita.

La testimonianza silenziosa

Cassandra urla. Corre, smania, viene travolta dalla visione che ha dentro. Ma non ha pazienza. Non ha spazio per chi la ascolta. E forse è questo che la condanna più ancora della maledizione divina. È talmente colma della propria verità da non poter attendere che l’altro sia pronto ad accoglierla, è il conflitto tra la mia verità profonda che ha l’urgenza di manifestarsi e il mio io che si sente sopraffatto da questa verità.

Nello Zen si scopre che il risveglio non è un traguardo da comunicare, ma una qualità dell’essere.              La nostra verità interiore può manifestarsi solo se non ha più bisogno di essere ascoltata, creduta o seguita. Le affermazioni, possono bloccare, difendere, chiudere. La   verità deve diventare presenza. E la presenza, come insegna lo Zen, non persuade: irradia. Non è compito della nostra verità forzare. Il linguaggio del cuore non conosce l’urgenza dell’ego. Serve pazienza, fiducia, silenzio. La vera comunicazione non avviene quando l’io comprende, ma quando si sente chiamato a esserci. A sentirsi parte della domanda. A risuonare con ciò che viene trasmesso, al di là delle parole. La verità più profonda non si afferma: si offre. Non parla di sé: è. Non forza l’ascolto: diventa spazio perché l’ascolto accada.

“Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito”, dice un detto zen.
Non serve parlare della luna, serve essere il cielo limpido in cui quella luna può sorgere.

La verità in noi non cerca di “essere capita”, ma essere intimamente disponibile, è una presenza non un’affermazione, non è un cambiamento è ciò che è sempre stato. Come l’acqua che accoglie ogni forma senza resistere, come lo zen che abbandona ogni certezza per tornare a sé stesso. Questa è la sfida più alta: vivere la propria verità senza volerla imporre. Offrire la propria vera esistenza all’io senza alcun bisogno di risultato, offrirla a sé stessi come si offre una candela accesa in una stanza buia: senza rumore, senza aspettativa, senza controllo. Essere disponibili, umili, in ascolto. 

E quando l’io sarà pronto, ascolterà.
Non perché costretto, ma perché toccato.

 Comunicare a noi stessi la nostra verità, non è portare un messaggio, ma diventare spazio per accoglierla. Lo Zazen ci ricorda che ogni verità, per essere accolta, ha bisogno di presenza, di spazio, silenzio, di un cuore aperto. E il primo cuore che dobbiamo aprire è il nostro.

Seduto in zazen lascio spazio perché la mia verità, venga accolta … e tutto è.

“Il suono del vento non ha voce.
Eppure, lo ascoltiamo
tra il silenzio degli alberi.”
 

UBI
Monastreo ZEN
Iscriviti per ricevere notizie sugli eventi, i nuovi contenuti, gli sconti e altro ancora.
Acconsento al trattamento dei miei dati personali a soli scopi informativi
Up