AI E DEEPFAKE: POSSIAMO ANCORA FIDARCI DEL NOSTRO IO?
La voce del Maestro
Viviamo in un’epoca dove tutto può essere imitato. Un volto, una voce, una realtà. Un video può commuovere, indignare, convincere… eppure essere falso. Un discorso mai pronunciato. Un volto mai esistito. Un evento mai accaduto. Benvenuti nel tempo dei deepfake. Ma questo non è solo un problema tecnologico. È un problema anche della nostra coscienza. Perché l’inganno più pericoloso non è quello che arriva dallo schermo. È quello che ci raccontiamo da soli.
Guardiamo un video e crediamo. Leggiamo una frase e reagiamo. Vediamo un volto, un gesto, una notizia… e scattiamo. Ma ci chiediamo mai: “È vero?” Non solo se il video è autentico, ma se noi siamo autentici mentre guardiamo. C’è qualcosa di inquietante e profondamente familiare nei deepfake: sono illusioni costruite alla perfezione, fatte per convincerci.
Nel Buddhismo, si parla spesso di illusione (Māyā). La mente è vista come un’abile creatrice di immagini. Proietta, colora, distorce. Non per cattiveria, ma per paura. La paura di non sapere chi siamo davvero. La paura del vuoto. Così ci aggrappiamo a ciò che appare, a ciò che ci dà ragione, a ciò che conferma la nostra visione del mondo. A ciò che ci dà ragione. Ma la pratica di una vera coscienza, anche o soprattutto spirituale, è una ribellione silenziosa contro questo meccanismo. È allenarsi a vedere le cose come sono, non come sembrano. A rallentare, osservare, mettere in discussione. Soprattutto quando è scomodo.
Giudichiamo in fretta. E ogni volta che non ci fermiamo a guardare davvero, partecipiamo anche noi al grande gioco dell’illusione. Certo, approfondire costa fatica. Essere consapevoli richiede energia. Ma qual è il prezzo del contrario? Un mondo di apparenze e di relazioni finte. Opinioni preconfezionate. Una vita in cui reagiamo a stimoli invece di rispondere con presenza.
Il problema non è solo se possiamo fidarci di ciò che vediamo. Il punto è: possiamo fidarci di chi guarda? Della coscienza che osserva, reagisce, interpreta? La mente non addestrata è un’intelligenza artificiale che non sa di esserlo. Ripete schemi, giudizi, riflessi condizionati. Ci convince che siamo qualcuno. Ma quel qualcuno… esiste davvero?

Nel profondo, siamo consapevolezza che può vedere. Che può smascherare il falso, dentro e fuori. Ma per farlo, dobbiamo disimparare ad avere fretta. Dobbiamo avere il coraggio di stare, anche nell’incertezza. Guardare, senza correre subito a dire cosa è vero e cosa no. Restare aperti. Nel tempo dei deepfake, la vera rivoluzione è tornare a vedere con occhi puliti. Senza illusioni. Senza filtri. Senza l’io finto che ci dice chi dovremmo essere. Perché forse il deepfake più subdolo non è quello creato da un algoritmo, ma quello che ci portiamo addosso da sempre. L’immagine di noi stessi a cui abbiamo finito per credere davvero.
Pratica Zen: come riconoscere i deepfake… interiori
Per smascherare un deepfake, sia nel mondo digitale che dentro di noi, serve un’attenzione mandata ai dettagli. In entrambi i casi, bisogna osservare con cura, notare ciò che non torna, quel filo sottile che rivela l’artificio. Quanto siamo abituati a distinguere un’immagine falsificata da un’immagine autentica? Le tracce lasciate da un video sospetto sono spesso sottili: uno sguardo che si muove in modo innaturale, una voce troppo monotona, un bordo sfocato ai confini dell’immagine. Questi sono segnali esteriori, che ci invitano a guardare più profondamente.
Ma ciò che vale anche per il digitale, vale anche per il nostro mondo interiore. Le maschere, le immagini che costruiamo di noi stessi, sono analoghe ai deepfake: sono “falsi sé” che abbiamo accettato come realtà. E qui, la stessa attenzione ai dettagli diventa una pratica di consapevolezza.
Osserva i tuoi “movimenti innaturali”
Come ti comporti nel mondo quando vuoi piacere, apparire, impressionare gli altri o nascondere le tue fragilità? Quali espressioni usi per non essere rifiutato? E quali gesti compi per mantenere un’immagine di te che magari non corrisponde alla tua vera essenza? Fermati un momento. Osserva se quei movimenti sono autentici o frutto di un “io” costruito, di un costume che indossi per adattarti. La naturalezza nasce dal contatto con ciò che sei, senza filtri o maschere.
Un Koan Zen ci invita: “ Liberati delle 84 mila vesti che indossi” “quali sono?”
Controlla i “riflessi”
Cosa riflette la tua mente quando sei solo, senza maschere? Quali pensieri si ripetono, quali giudizi automatici? Sono reali, o sono reazioni apprese, schemi antichi, pattern che continuano a ripetersi come un “copione” scritto da altri? Guarda il riflesso interno e chiediti: “Questo pensiero mi appartiene davvero? O è solo una risposta automatica? È una verità che voglio credere, o solo una vecchia storia che devo lasciar andare?”
Ascolta la voce
Dentro di te c’è una voce che parla in continuazione. Ti dice chi sei, cosa devi fare, come gli altri ti vedono. Ma… quella voce ti appartiene veramente? Oppure suona come un messaggio robotico, meccanico, ripetitivo? Spesso, quella “voce” è una registrazione imposta dall’esterno: dai condizionamenti sociali, familiari, culturali. Ascoltala con attenzione, perché potresti scoprire che quella che pensi essere la tua identità è solo un’eco di parole e idee che non ti appartengono profondamente.
Verifica la fonte di ciò che pensi e senti
Ogni pensiero, emozione, immagine di te stesso: da dove nasce? È nata dalla tua esperienza viva e presente, oppure è stata trasmessa da ciò che hai ascoltato o visto fuori di te? Chi ti ha insegnato a pensarti in modo rigido, a definirti in una certa maniera? Torna alla sorgente: al silenzio, alla presenza, al momento presente. Riconnetterti con questa origine ti aiuterà a distinguere tra ciò che è autentico e ciò che è stato forzato o manipolato dagli altri o dalle tue paure.
Usa strumenti di rilevamento interiore
Nel digitale, ci sono software in grado di smascherare i falsi. Nella pratica Zen, abbiamo strumenti altri, ma altrettanto potenti: il respiro che ti riporta nel corpo, l’ascolto profondo di ciò che si muove dentro, la presenza nuda, senza giudizi né filtri. Questi “strumenti interni” sono come un’intelligenza artificiale naturale, che ti aiuta a riconoscere il falso e ad avvicinarti all’autenticità.
Non sei l’immagine che difendi. Non sei il racconto che ripeti. Non sei nemmeno ciò che gli altri pensano di te.
Riconoscere il “deepfake” più subdolo: l’io
Ricorda: non sei l’immagine che difendi né il racconto che ripeti su te stesso. Non sei nemmeno ciò che gli altri pensano di te. Ti sei mai guardato come si guarda un video sospetto? Con pazienza, con amore, con radicale onestà. Per capire veramente chi sei, devi mettere da parte le maschere, smettere di identificarti con le storie che ti racconti, e tornare a guardare con occhi puliti e sinceri. Solo così potrai scoprire il “deepfake” più insidioso: l’illusione di un “io” che crede di essere reale, ma che in realtà è una costruzione, un’ombra di te stesso. La vera autenticità nasce dal riconoscere questa finzione, e scegliere di rivederti, di ascoltarti, di riscoprirti nel silenzio e nella semplicità. In fondo, il più grande deepfake è quello che hai creduto di essere, e, con pazienza, puoi imparare a distinguere il reale dall’artificiale, dentro e fuori di te.
Il deepfake più convincente non è quello che guardi…
è quello che chiami “io”.
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