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L’ILLUSIONE DEL CONTROLLO

La voce del Maestro
L’ILLUSIONE DEL CONTROLLO

 “Chi tenta di afferrare l’acqua, vede le dita bagnate.”

Spesso viviamo credendo che controllare tutto sia la via più sicura per affrontare la complessità della vita. Ci illudiamo che avere ogni cosa sotto controllo ci permetta di rispondere correttamente ai problemi, di proteggerci dalla sofferenza e di mantenere un equilibrio interiore. Ma il controllo non è necessariamente conoscenza. Anzi, molte volte il desiderio di controllo nasce proprio da una mancata comprensione del problema.

Il problema, spesso, lo guardiamo attraverso il filtro del nostro io, educato fin dall’infanzia a cercare controllo come forma di sicurezza. Ma quel controllo, che ci sembra lucidità o chiarezza, si rivela molte volte un blocco: irrigidisce, chiude, ci spinge verso soluzioni rassicuranti, ma non per questo più vere o più giuste.

Un esempio comune è nei conflitti relazionali, come una discussione con un partner o un familiare. Spesso cerchiamo di controllare la conversazione per far valere il nostro punto di vista, interrompiamo, spingiamo, imponiamo la nostra “ragione”. Questo atteggiamento nasce dalla normale paura di essere fraintesi o messi in discussione, ma finisce per bloccare la possibilità di una reale comprensione reciproca. Invece, se abbandoniamo il bisogno di avere ragione e restiamo in ascolto, accogliendo anche l’incertezza, può emergere una verità più profonda e condivisa, che altrimenti sarebbe rimasta nascosta sotto la superficie della reattività e avrebbe cambiato la relazione talvolta anche irrimediabilmente. Anche nel contesto lavorativo, dove il nostro io è costantemente sollecitato a rispondere, decidere, risolvere, il desiderio di controllo si manifesta spesso nel bisogno di gestire ogni dettaglio, prevedere ogni possibile errore, tenere tutto sotto sorveglianza essere al centro di ogni decisione. Questa spinta, che inizialmente sembra efficienza, si trasforma facilmente in tensione, e chiusura verso ciò che non rientra nei nostri schemi mentali. Idee nuove, approcci diversi, contributi autentici rischiano di essere respinti solo perché sfuggono al nostro controllo. Lasciare andare, qui, non è disimpegno. È fiducia. Fiducia nel processo, nel lavoro condiviso, perfino negli errori come opportunità di comprensione e trasformazione. Paradossalmente, è proprio quando smettiamo di stringere tutto tra le mani che le soluzioni più vere trovano spazio per emergere.

“Ciò che trattieni, ti trattiene. Ciò che lasci andare, ti lascia crescere.”

Quante volte abbiamo scambiato per verità ciò che era solo ordine apparente? Abbiamo etichettato i nostri sentimenti, li abbiamo messi in fila come libri su uno scaffale, e ci siamo detti:
“Ecco, ora so chi sono. Ora tutto ha un senso.”
Ma ciò che è sotto controllo non è sempre compreso. Ci illudiamo di vedere chiaramente,
quando in realtà stiamo solo fissando uno specchio che riflette ciò che vogliamo vedere.

E così anche con gli altri: partner, amici, genitori, colleghi. Li osserviamo, li analizziamo, spesso in buona fede, come apprendisti stregoni del cuore umano, cercando di comprenderli attraverso i nostri strumenti: le nostre storie, i nostri pensieri, le nostre paure. Ma ciò che chiamiamo “conoscenza” è spesso solo un’interpretazione.
Non stiamo ascoltando davvero. Stiamo decifrando, giudicando, incasellando…per sentirci più sicuri. Per tenere tutto, anche l’amore, anche il dolore sotto controllo.

 Questo atteggiamento non è sbagliato in sé: il pensiero ha la sua funzione, ci aiuta a orientarci. Ma diventa una trappola quando trasformiamo l’altro in un concetto fisso, quando lo riduciamo a una categoria mentale, come se potessimo chiuderlo in un barattolo con l’etichetta già scritta, ben chiusa, pronta per l’archivio della nostra sicurezza.
La vera relazione, invece, nasce quando lasciamo andare il bisogno di comprendere per controllare, e iniziamo ad ascoltare l’altro con presenza, senza proiezioni, senza fretta di sapere chi è. Solo così possiamo incontrarlo davvero: non come oggetto del nostro pensiero, ma come essere vivo, in mutamento, misterioso e libero.

E quante volte quel bisogno di controllo ci ha impedito di crescere davvero, di cambiare direzione, di ascoltare qualcosa di più autentico dentro di noi? Alcune scelte fondamentali – relazioni, strade, svolte decisive – sono state profondamente guidate da quel desiderio di tenere tutto in ordine, di etichettarci, di sentirci “a posto”. Forse, senza quella gabbia invisibile, la nostra vita oggi sarebbe più vera, più sentita, meno segnata dalla malinconia di ciò che non abbiamo osato.
Ma non è troppo tardi. Possiamo imparare a non ripetere quell’errore. Lasciare andare non significa abbandonare o rinunciare: significa offrirsi la possibilità di ascoltare più a fondo, senza coprire subito la voce interiore con idee preconfezionate, paure antiche o aspettative ereditate. Significa aprire uno spazio dove possa emergere ciò che è davvero nostro.

È proprio da qui che comincia, silenziosamente, il cammino del nostro cambiamento.
Quando arriva, trasforma tutto.

 E allora, da dove si comincia?

Dal coraggio di lasciarsi andare e non voler tenere tutto sotto controllo.

È il coraggio di seguire quella voce interiore, anche quando non sappiamo dove ci porterà.                           Si comincia dal lasciare andare il desiderio di controllo su questa sensazione interiore di cambiamento.      Ed è proprio qui che serve attenzione: il rischio più sottile è quello di voler controllare anche questo sentire profondo. Cercare di analizzarlo, giudicarlo, chiarirlo troppo in fretta. Ma così facendo, torniamo senza accorgercene nei vecchi schemi dell’io: quello che vuole dirigere, anticipare, dominare… per aggrapparsi a una sicurezza apparente.

Forse è proprio qui che inizia davvero il cammino: nel momento in cui si apre uno spazio nuovo, ancora fragile, che non chiede di essere capito, ma abitato.
È un’apertura dell’essere, non dell’intelletto.
Una breccia silenziosa oltre il pensiero, oltre la logica, che ci invita semplicemente a sentire.                        Se percepiamo che è il momento di iniziare un cammino interiore, proviamo a concederci il permesso di sentire, senza dover subito capire.
Senza chiederci se è giusto o sbagliato, reale o immaginato, frutto dell’età, dell’esperienza, della mente. Noi, che siamo stati educati alla razionalità, potremmo voler incasellare tutto.
Ma è proprio questo il pericolo: tornare sotto il dominio di quella voce interna che, più che cercare la verità, vuole capire per controllare.
E il cammino verso la nostra verità autentica, invece, comincia davvero quando smettiamo di controllare e iniziamo ad ascoltare.

Il cammino silenzioso della libertà

Il percorso di crescita e di scoperta di sé è uno dei viaggi più profondi e sfidanti che un essere umano possa intraprendere. È un cammino che ci invita a guardare dentro di noi, a smascherare le illusioni che abbiamo costruito nel tempo, e a riconoscere, infine, ciò che sempre siamo stati: un’essenza pura e libera, nascosta dietro una coltre di attaccamenti, convinzioni e identificazioni.

“Non cercare la via, sii la via.”

UBI
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